Una nuova recensione dei nostri inviati Chiara Ricci e Pasquale Mesiano. Questa volta hanno visto per noi Mammuth, il film di Benoît Delépine e Gustave Kervern con Gérard Depardieu, Yolande Moreau e Isabelle Adjani, dal 29 ottobre al cinema.
La trama
Serge Pilardosse (Gérard Depardieu), soprannominato Mammuth dal nome della sua moto, è un operaio che dopo una vita dedicata al lavoro va in pensione. Così ha inizio la sua lotta con la burocrazia. Scopre che molti suoi ex datori di lavoro non gli hanno versato i meritati contributi e l’unico modo di recuperarli è di ricontattarli chiedendo loro le dichiarazioni mancanti. Incoraggiato dalla moglie Catherine (Yolande Moreau), Serge monta sulla sua vecchia Mammuth, e parte.
Torna nei luoghi della sua adolescenza, percorrendo un viaggio che lo riporta al suo passato, a quei parenti e amici che non vede da anni e, soprattutto, lo conduce a ritrovare se stesso. Durante questo viaggio costante è l’allucinazione della fiduciosa e ancora innamorata Yasmine (Isabelle Adjani), il suo primo amore morta in un incidente motociclistico, accompagnandolo in questa ricerca che, a poco a poco, si rivela futile. Decisivo è l’incontro di Mammuth con la sua nipotina (Miss Ming), che risveglia in lui il dormiente poeta felice e il desiderio di abbracciare la vita e ricominciare.
La recensione
Devo ammetterlo: è un film che mi ha colpito per originalità, candore e per la sua capacità di lasciare nello spettatore quella sensazione mista tra allegria e riflessione. I registi hanno dato il meglio di sé creando uno di quei capolavori che fanno amare ancor di più quella che Godard ha definito “arte a 24 fotogrammi al secondo”. Il film pare essere un susseguirsi di sketch riuniti dalla trama del film, ognuno dei quali potrebbe essere proiettato separatamente, senza perdere forza e significato.
Questo può lasciarci spaesati all’inizio, ma una volta entrati nel mondo di Mammuth e degli strani e istrionici personaggi che lo circondano si rimane piacevolmente coinvolti. Trattandosi di un’opera d’arte il film ha diverse chiavi di lettura: il tema del lavoro e di come questo influenzi totalmente la nostra vita senza lasciar spazio all’essenza del nostro essere; il rapporto distaccato che si instaura tra noi e gli “altri”; l’incapacità di amare realmente.
I registi decidono poi di sottolineare ancor di più il clima a metà tra l’onirico e l’assurdo utilizzando una pellicola simile al super8 conferendo quella magica sensazione dell’amata vecchia polaroid e quel tocco vintage anni ‘70 già espresso con la bellissima Mammuth guidata da Serge. Depardieu è perfetto: non perde un colpo. Si adatta alla sceneggiatura stringata e minimalista infarcita di battute fulminanti come solo un attore consumato sa fare. La sua mimica e la sua presenza fisica rendono Serge un personaggio cui affezionarsi.
Brava anche Yolande Moreau (la moglie di Mammuth) a calarsi nel ruolo della cinica ed eccentrica commessa del supermarket del paese. Due scene su tutte rimarranno impresse nella memoria: l’esilarante quanto tragica telefonata al call-center del tribunale del lavoro per informarsi dei contributi del marito e la fulminate risposta alla malcapitata acquirente al banco del pesce che si sente dire che si sta vendendo un delfino. Da segnalare l’accattivante performance di Miss Ming (la dolce e disincantata nipote di Mammuth), il cui bel nome è talmente piaciuto ai registi da volerlo usare anche nel film.
Il personaggio che incarna le è stato cucito addosso rispecchiandone la personalità eccentrica (basta navigare in internet per scoprirne il motivo). Ha il ruolo fondamentale di “liberatrice” del nostro “eroe”: attraverso la sua disincantata semplicità riesce a trovare la chiave per aprire il cuore dello zio. Per l’affascinante Isabelle Adjani, che interpreta il primo amore di Mammuth, un semplice cameo che ci riporta alla mente ricordi di una bellissima attrice. Anche il resto del cast merita un forte applauso.
I registi hanno voluto degli attori non professionisti che si sono rivelati perfetti nel dar vita a personaggi dal carattere sincero e genuino. Non riesco a trovare un difetto a questa produzione eccezionale. Non voglio neanche farlo. Perché rovinare qualcosa di così bello? Forse non tutti saranno concordi con lo spirito liberatorio e ottimista del finale ma la sua poesia apre l’anima. È un film da vedere assolutamente e che consiglio a tutti coloro che prendono troppo sul serio la propria vita dimenticando di lasciarsi incantare. Anche da un sorriso.
Io credo che seguirò il consiglio di Chiara e Pasquale. Voi?
Inguardabile, dopo mezz’ora me ne sono andato! Passi per qualche scena divertente, passi per l’humor gotico ..ma il film è un crescendo di scene inguardabili con la fidanzata morta che ritorna come uno zombie accanto a lui con un trucco stile horror da pochi soildi anni ’70. la scena di sesso con il cugino e disgustosa. Sconsigliato
ammazza Giacomo! Certo che la tua recensione è proprio l’opposto di quella di Chiara.
Credo che a questo punto l’ideale sarebbe una terza opinione 🙂
Raramente sono stato preso dall’impulso di richiedere con forza la restituzione del prezzo del biglietto. Mi sono sentito letteralmente derubato! Film da buttare e dimenticare
…E guardatevi i cinepanettoni allora ! Mon Dieu.. quanta segatura al posto delle meningi ! Qui si tratta di “Arte” confezionata da “gente” che il Cinema lo sa fare ancora per davvero, sia per tradizione che per cultura. Meraviglioso l’effetto della 16mm. reversibile che vira impercettibilmente al rossiccio, sembra di esser davanti ad un album di vecchie fotografie (altro che file JPEG..). Depardieu è imbolsito eppure -proprio per questo- si mostra per quello che è : un gigante. Arte, poesia, riflessione amara e disincantata, analisi di ciò che è diventato il lavoro (le travail…assonanza così drammaticamente simile al “travaglio” del precariato) in questi ultimissimi tempi. Da vedere e comprendere purchè si possieda la necessaria -ma non scontata- intelligenza ed un po’ di cuore.
e come direbbe il buon Fantozzi: mammuth è una cagata pazzesca!!! (al seguire 92 minuti di applausi)
@andrea : qui l’unica cagata sei tu e ciò che contiene la tua scatola cranica, volesse il Cielo fosse soltanto vuota ! Questo vale anche per quei babbei che non hanno compreso NULLA dei molti significati del film. Esilarante chi lamenta del “trucco stile horror da pochi soldi anni ’70” !! Segno di limitatezza mentale e di analfabetismo culturale e cinematografico… Che schifo vivere senza riconoscere poesia là dove ci viene sussurrata (pur nella pena e nelle difficoltà che può riservare la vita).