La scomparsa di Alice Creed [recensione] la camera oscura del cinema

Prendete due ex detenuti, una ragazza ricca da rapire, una stanza in isolamento per la sventurata ed un riscatto da pagare; con questi pochi elementi a disposizione il regista britannico J Blakeson mette in scena la piece cinematografica  “La scomparsa di Alice Creed”.

Alice Creed

Alice Creed

Con una sceneggiatura sufficientemente solida, un cast di tutto rispetto, una tensione sempre alta ed un congegno ad orologeria legato alla storia, il terzo film del regista Blakeson ci catapulta nell’ossessivo piano di un rapimento trattando l’immaginario scenico come fossero atti teatrali in cui l’ambientazione ricreata ricalca quella delle pareti del palcoscenico.

I primi dieci minuti della pellicola ci mostrano il minuzioso lavoro dei due protagonisti nel preparare la stanza che ospiterà Alice Creed: letto fissato a terra, finestre sigillate, rivestimento acustico alle pareti, chiodi, nastri adesivi, guanti, nel tentativo di soffocare lo spettatore ancor prima che avvenga il rapimento. Poi la comparsa di Alice, ragazza della ricca borghesia ma con una tendenziale riluttanza per quel mondo che sembra non appartenerle.

Il rapimento, mostrato dall’interno di un furgone, chiude il primo atto del film.

una scena del film

una scena del film

Il secondo atto si apre con l’accudimento della ragazza, dal bere al defecare, con la relazione tra i due personaggi maschili (l’uno più forte psicologicamente dell’altro, uniti da una improbabile relazione) e con la successione delle giornate in attesa del riscatto.

Dal terzo atto in poi qualcosa irrompe sullo schermo in maniera insesorabile e nella trama narrativa della vicenda le situazioni vengono ricostituite.
Da questo momento in poi la pellicola vira dalla lenta e quotidiana vita di prigionia alla instabile e impensabile ricerca della verità nascosta, regalando alla brava Gemma Arterton, perfetta nella parte di Alice, tutta la scena fino al sipario del film.

Gemma Arterton, Martin Compston, Eddie Marsan

Gemma Arterton, Martin Compston, Eddie Marsan

C’è molto del David Fincher di Panic Room nel film di Blakeson e molto Hitchcock nella fitta trama tra i personaggi; purtroppo manca la tensione che il mestierante Fincher riesce a manovrare nei suoi film e le orchestrazioni emotive hitchcockiane si perdono nei dialoghi a tratti scialbi, dei tre protagonisti.

Un film, che nonostante la sua produzione limitata al basso costo, prova a giocare con le suggestioni e le contraddizioni dell’essere umano riuscendo comunque a farci rimanere nella storia, in cerca di una soluzione finale forse un pò insapore ma sicuramente emozionante.

Una scena del film

Una scena del film

Avremmo voluto più incisivi i dialoghi, uno spessore differente nelle relazioni tra i protagonisti (e di materiale ce n’era eccome), ci accontentiamo però del solido impatto visivo e dell’onesto e dignitoso lavoro del regista in attesa della sua prossima pellicola.

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