Un altro mondo - locandina

Un altro mondo, con Vincent Lindon per la regia di Stéphane Brizé: la recensione

Esce in Italia il 1° aprile Un altro mondo, l’ultima parte della trilogia dedicata al lavoro scritta e diretta da Stéphane Brizé e interpretata da Vincent Lindon. A differenza dei due precedenti capitoli, La legge del mercato del 2015 e In guerra del 2018, in questo caso Lindon non è però l’unico attore professionista, ma è affiancato dalla come sempre molto brava Sandrine Kiberlain, dal giovane e talentuoso Anthony Bajon e dalla giornalista, conduttrice radiofonica e televisiva Marie Drucker, alla sua prima esperienza recitativa.

Un altro mondo - locandina
Locandina

Un altro mondo

La vita di Philippe Lemesle (Vincent Lindon), a giudicare dalle fotografie sui muri della sua bellissima casa, è una di quelle vite che tutti invidierebbero. Una bella famiglia, una moglie sorridente, un figlio e una figlia, il tutto nella cornice di una villa che lascia trasparire l’agiatezza di cui dispongono.

Ma, come nelle migliori tradizioni, non tutto è oro ciò che luccica. In realtà, un pezzo via l’altro, l’esistenza intera di Philippe si sta disgregando sotto i suoi occhi.

A iniziare dal suo matrimonio con Anne (Sandrine Kiberlain). Che infatti ha chiesto il divorzio: due si incontrano – o meglio, scontrano – nello studio degli avvocati che ne stanno seguendo la separazione. Il motivo non pare l’assenza di amore, ma di tempo. Tempo che Philippe è in grado di dedicare a moglie e famiglia. Perché il tempo di Philippe è completamente risucchiato dal suo lavoro.

Dirige un sito industriale assorbito da un colosso americano, che spinge e mette sotto pressione i suoi manager con continue richieste di “ottimizzazioni” e di riduzione dei costi. Tradotto in soldoni, di licenziamento del personale.

Philippe, combattuto tra fedeltà ai capi e lealtà verso lavoratori del suo stabilimento, si convince a cercare un piano alternativo per evitare il taglio di altre 58 persone dalla sua ditta. Che, tra l’altro, era già stata decimata in precedenza e ormai sull’orlo del collasso per la penuria di lavoratori e la stanchezza dei pochi rimasti.

Nel frattempo, un altro tassello della sua vita sta andando a rotoli: la salute mentale del figlio (Anthony Bajon), crollato a causa della troppa pressione scolastica. In pratica, tutto ciò che era motivo di orgoglio e di riuscita sta sfaldandosi: matrimonio, carriera, famiglia. La constatazione della piega che sta prendendo la sua esistenza fa riflettere Philippe sulle sue priorità. E, al contempo, su quali siano i suoi veri valori.

Official trailer

La giusta conclusione del percorso di analisi del mondo del lavoro attuale operata da Brizé

Un po’ come la quadratura del cerchio: Un altro mondo chiude l’analisi degli effetti del lavoro moderno sulla vita delle persone, iniziata sette anni fa con La legge del mercato. In quel primo caso, erano gli effetti sul cinquantenne lasciato a casa per i “tagli aziendali”. Con In guerra si guardava invece il tutto dalla parte del sindacalista. In questo ultimo film è la parte dirigente ad essere protagonista.

A conclusione della trilogia, pare evidente come non ci siano buoni e cattivi, vincitori e vinti, ma, dall’operaio licenziato al sindacalista che tenta di difenderne la causa al capo del sito industriale, tutti sono spezzati e distrutti dalle spietate leggi che regolano il mercato.

Se un cattivo c’è, è il sistema. Probabilmente ben incarnato dalla logica capitalistica americana, in Un altro mondo perfettamente interpretata dalla figura del CEO della multinazionale che ha acquistato l’industria diretta da Philippe Lemesle/Vincent Lindon. Il colloquio tra quest’ultimo e il boss americano è un capolavoro di quella classica eloquenza da Customer Care, in cui d’altronde gli USA eccellono.

Un altro mondo - cast
Vincent Lindon e Sandrine Kiberlain

Il boss inizialmente pare apprezzare l’idea proposta da Lindon, affiancato dall’unico altro dirigente che non l’ha ancora abbandonato: invece di continuare a tagliare personale per abbassare i costi, tagliare premi e stipendi dei capi dei vari stabilimenti francesi, come lui stesso. Proposta generosa e sensata, perché già i tagli precedenti avevano messo la produttività dei vari siti praticamente in ginocchio. E che andrebbe più nella direzione di ciò che in apparenza sono gli obbiettivi della multinazionale. Ma ovviamente quella è solo propaganda. Fumo negli occhi e ipocrisia.

Brizé dimostra così, in questa sua ultima opera, che i vari attori in gioco nell’universo lavorativo attuale sono in qualche modo ingannati dalla loro prospettiva parziale, e vedono negli altri i nemici, quando in realtà sono tutti intrappolati in un meccanismo non solo disumano, ma che li porta a disumanizzarsi. E a piegarsi a logiche che in realtà giovano ai soliti pochi.

Un altro mondo - Anthony Bajon e Vincent LIndon
Anthony Bajon e Vincent Lindon

Un altro mondo è, ancora una volta, un film duro, pesante da digerire, dalla fotografia implacabile che esalta fino alla più piccola ruga degli attori e che ha colori cupi, opachi. Alla musica a tratti quasi stridente. Alla sensazione di accerchiamento che prova il protagonista, che, da qualsiasi parte si giri, vede crollare tutto ciò che ha fino a quel punto costruito. In totale buona fede, che è ciò che rende il tutto ancora più struggente e senza via d’uscita, per il senso di impotenza che trasmette.

Oltre agli attori principali, bravi ma alla cui bravura impeccabile si è ormai abituati, una bella sorpresa viene anche dalla prima performance attoriale di Marie Drucker. Giornalista, conduttrice radio e televisiva, interpreta in questo film Claire Bonnet Guérin, la responsabile della divisione Francia della multinazionale, che rappresenta perfettamente la modalità manipolatrice con cui i manager sono persuasi a collaborare e sottostare ai fini dei proprietari americani. O meglio, degli azionisti e del mercato.

Bilancio finale

Film sicuramente non leggero, ma non è ciò che ci si aspetta dall’accoppiata Brizé-Lindon. Da vedere se si sono apprezzati i precedenti. Offre l’opportunità di affrontare il problema lavoro da un punto di vista inedito, che approfondisce ulteriormente la tematica. E porta a sospettare che la conclusione sostenuta sia che è ormai tempo di un cambiamento di paradigma.  Radicale.

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