Dio è donna e si chiama Petrunya, un film rosa solo in apparenza

Che succederebbe se Dio fosse donna? E’ proprio la protagonista del film Dio è donna e si chiama Petrunya a porsi la domanda, filosoficamente ingombrante, che rimane poco più di un pretesto per un film capace di attirare l’attenzione già dal titolo e di apparire così rosa (dal colore della locandina alle quote rosa di regia e attrice protagonista) senza avere invece nulla a che spartire col genere.

di Cristiano Salmaso

Dio è donna e si chiama Petrunya

Petrunya ha trentadue anni, delle fattezze non proprio divine e una vita tutta da rivedere: ancora a casa con i genitori, non ha un fidanzato né un lavoro. La madre (non proprio amorevole) la spinge così ad una selezione per un posto da segretaria: durante il colloquio è Petrunya stessa ad incoraggiare le avances del principale, che finisce però per respingerla.

Sulla via del ritorno si imbatte in una processione dove un gruppo di fedeli, più simili in realtà a dei tifosi, si sfida per recuperare una croce lanciata nel fiume: un rito religioso che tradizionalmente vuole solo uomini; sarà  invece proprio Petrunya a tuffarsi, scatenando così le ire dei partecipanti.

A partire da quel momento le disavventure, che la porteranno a scontrarsi con tutto il paese, verranno seguite da una giornalista che combatterà per documentare, attraverso la televisione, le ingiustizie subite da una donna in una comunità ancora così maschilista ed ottusamente retrograda.

Il trailer del film

Non è anche mio diritto essere felice?

Dio è donna e si chiama Petrunya

“Non è anche mio diritto essere felice?” chiede Petrunya al prete che cerca di convincerla a restituire la croce: è una donna che rivendica il bisogno di sentirsi tale, più sicura di sé e stanca di reprimere i propri istinti (“nuda mi sento più libera, starei sempre nuda” dice alla madre all’inizio del film).

Bella ed emblematica la scena in cui si spoglia e si stringe al petto la croce, per prendersi meglio quella fortuna che porterebbe a chi se ne è impossessato. “Ho agito come un animale” arriva poi a confessare al poliziotto, che comincia forse ad innamorarsene.

Dio è donna e si chiama Petrunya
Dio è donna e si chiama Petrunya

Una donna anche alla regia, Teona Strugar Mitevska, per questo film macedone incentrato tutto sulle figure femminili: dal personaggio principale, alla giornalista anch’essa in cerca di riscatto fino alla madre di Petrunya; gli uomini rimangono personaggi di contorno destinati a sbiadire in fretta in un racconto che, per la verità, non riesce neanche con la sua protagonista ad incidere fino in fondo.

Un personaggio che resta nel suo film

Dio è donna e si chiama Petrunya è un film ben fatto dove tutto appare sotto controllo: dall’efficace interpretazione di Zorica Nusheva alla regia della Mitevska che, tra inquadrature sapientemente sbagliate (figure tagliate o che impallano la telecamera) ed altre azzeccate ma già un po’ troppo collaudate (come nella prima e nell’ultima scena), dirige una pellicola che merita certo di essere vista ma che sembra anche promettere qualcosa in più, che però non c’è.

Un film che, a partire dal suo titolo, si finge insomma più intelligente di quello che è. Raccontata col piglio tipico del cinema balcanico, Petrunya rimane in fondo una figura femminile per la quale si vorrebbe provare più simpatia di quella che ispira e alla quale ci si affeziona solo a metà: il suo è un personaggio solo ma non disperato, sincero ed istintivo ma sempre un po’ troppo distante, che finisce per restare più nel suo film che nel nostro cuore.

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