Da oggi nelle sale italiane arriva il capitolo finale di una saga ‘girl power’ che ha piacevolmente stupito il modo per essere riuscita a strumentalizzare il genere fantasy young per percorrere alcuni temi cari al genere e riattualizzati e raggiungere le giovani generazioni, senza false speranze o melensi artefatti: è in sala Hunger Games: il canto della rivolta – Parte 2.
Hunger Games: il canto della rivolta – parte 2
Katniss (Jennifer Lawrence; Una folle passione, American Hustle) è ormai la ghiandaia imitatrice dei ribelli contro la dittatura del presidente Snow (Donald Sutherland; Novecento, La migliore offerta). Peeta (Josh Hutcherson; Escobar: Paradise Lost, Viaggio nell’isola misteriosa) è ancora scosso dopo le barbarie mentali inflittogli da Snow, incerto tra l’amore per Katniss ed il suo inconscio compito di porre fine alla sua vita.
Trailer del film
Chi scrive ammette di non aver mai letto un libro della scrittrice Suzanne Collins, autrice della trilogia che vede la povera Katniss Everdeen (la rivelazione Jennifer Lawrence, anche se a Hollywood era stata già notata per l’intenso “Un gelido inverno”, che le era valso la sua prima nomination all’Oscar nel 2010) battersi per amore della sorella con altre persone socialmente al suo pari per volere del supremo Presidente Snow (qui Donald Sutherland), fino all’inevitabile rivolta dal basso che porta ad un lotta interna per sovvertire le sorti di tutta Panem. E dunque, finalmente siamo arrivati al sodo: dopo aver deciso (erroneamente, a mio parere) di dover dividere in due parti questo terzo capitolo, portando la prima parte ad essere solo un’appesantito e soporifero preludio, eccoci alla fine.
Un film di guerra a tutto tondo, dove tutti i temi trattati arrivano al pettine e sottolineano qualcosa che rende molto reale (e attuale) la saga: non c’è momento più delicato che il giorno successivo alla fine di una guerra. La forza della saga sta nel tratteggiare la storia d’amore come una presenza che continua a spostare tutto ma che non abbisogna di smancerie o particolari pathos emotivi, sostenuta da una recitazione mediamente alta (concentrata molto nel regalare alla protagonista momenti “clou” fin troppo spesso) e da una cura di regia (per la terza volta Francis Lawrence, che a tratti in questa pellicola ci fa ricordare i bei tempi del suo Io sono leggenda) e fotografia più alta della media di teen movie sfornati da Hollywood post-Twilight.
Sceneggiatura
Se c’è una toppa in questa seconda parte che ben sostiene le due ore e un quarto di racconto, è il finale. Gli ultimi venti minuti di film girano attorno a continui (accennati) finali che non riescono a chiudere una storia e che ci portano a far cadere un clima di tensione sospeso per due ore di film e poi perso, improvvisamente, alla fine.
Ma forse è un problema che risiede negli adattamenti di romanzi fantasy al cinema: basti ricordare il finale rapido di Harry Potter, dopo otto capitoli, o quello di quasi trenta minuti de Il Signore degli Anelli. Dialoghi a volte intensi, altre volte blandi, un personaggio-chiave come quello interpretato dalla fresca vincitrice di Premio Oscar Julianne Moore strumentalizzato fin troppo poco e ben oltre i tempi necessari a rendere il climax, al momento giusto, alto quanto era necessario.
Cosa resterà
Sicuramente Hunger Games ha fatto un passo avanti per l’utilizzo delle tematiche e per la centralità e la potenza di questo ruolo femminile, lancio mondiale per la brava e bella Jennifer Lawrence e che ha aperto le porte a decine di romanzi che, per gli anni a seguire, Hollywood ha avidamente cercato per provare a produrre un incasso e un consenso simile a questo tra pubblico e critica. E, al di là di chi dice che l’idea è stata ripresa dal (quasi) capolavoro giapponese “Battle Royale” , non può oggettivamente negare la forza che capitolo di apertura e chiusura lasciano, pur non negando che l’incursione produttiva hollywoodiana ha (in parte) rovinato un lavoro che, in mano di altri, avrebbe potuto godere di più lucidità e coraggio.