Edoardo Winspeare ha presentato lo scorso 22 marzo al Cineporto di Bari in anteprima per la stampa il suo nuovo lungometraggio, accompagnato dal cast, quasi tutto femminile: Celeste Casciaro, Laura Licchetta, Barbara De Matteis, Anna Boccadamo e Gustavo Caputo, praticamente tutti attori non professionisti.
Presenti anche il produttore Alessandro Contessa, il co – sceneggiatore Alessandro Valenti e Antonella Gaeta, presidente di Apulia Film Commission, che ha partecipato al finanziamento dell’opera.
Abbasciu allu Salentu
In grazia di Dio è stato girato in poco più di un mese, come tutti i suoi film precedenti in Salento, concepito in tutte le fasi della sua realizzazione con un legame profondissimo con il territorio e i suoi abitanti. Di ritorno dal Festival Internazionale di Berlino, dove è stato accolto con successo, è costato 600.000 euro. Winspeare ha parlato della spontaneità con la quale si sono svolte le riprese, in un clima di serenità e parziale improvvisazione, senza il minimo virtuosismo e con un’attenzione speciale alla natura e ai suoi suoni, tanto che la colonna sonora principale del film è il vento.
La fabbrica attorno alla quale la vicenda ha inizio è il tipico esempio di impresa aperta con i soldi degli “svizzerotti” come in Salento sono etichettati gli emigranti che dopo anni di lavoro in Svizzera sono tornati a casa investendo nella loro terra. Valenti ha evidenziato in Cechov e nei suoi racconti contadini una delle fonti di ispirazione per la scrittura, e nell’alternarsi di reale e magico uno dei suoi obiettivi. Tutti i presenti hanno sottolineato i tre elementi chiave della lavorazione: famiglia, semplicità, territorio.
Matriarcato Reloaded
La crisi. Nei giorni della parziale paralisi nazionale dovuta allo sciopero dei camionisti, la piccola impresa tessile a conduzione familiare, schiacciata dalla mancanza di commesse e dalla concorrenza dei cinesi, è costretta a chiudere. Le donne protagoniste sono quindi costrette a vendere casa e rifugiarsi in campagna, a reinventarsi affrontando tutti i disagi e la fatica della dura vita contadina, ma subendo il fascino eterno della campagna, della natura, degli ulivi. Salvatrice, nonna contadina, che cerca sempre di sanare i conflitti. Adele, donna forte e dura, che la vita ha reso arida e coriacea. Ina, la sua figlia bella ed immatura. E Maria Concetta, la sorella di Adele che sogna di diventare attrice. Tra un litigio e l’altro, barcamenandosi tra Equitalia, investitori del nord, trafficanti di migranti, gravidanze, le donne si ritrovano grazie al baratto dei prodotti della terra con la benzina, le medicine, e tutto quello che non possono comprare, a intravedere una possibile nuova vita. E le difficoltà quotidiane le costringono a fare gruppo. Un gruppo totalmente femminile.
Realismo Magico, o aspirante tale
Suoni, luci, sapori e profumi. Il vento, gli ulivi e la pietra leccese. In grazia di Dio è film sensoriale, questo è il suo aspetto più riuscito. Il racconto della realtà non è mai artefatto, la sincerità dell’approccio alla vicenda ed ai rapporti umani convince appieno. Il problema, a nostro modo di vedere, è l’orizzonte del film, che è basso, molto basso. Rasoterra, quasi. Pericolosamente vicino, nonostante le indubbie, differenti intenzioni genuine di Winspeare, ad una visione semplicistica e reazionaria del mondo. La ragazza svampita che imbocca la strada della maturità grazie alla gravidanza ed in meno di due mesi passa dall’ignoranza più abissale a citare Kierkegaard; l’arcaico ritorno alla campagna dopo il fallimento della modernità; una fastidiosa sensazione di misticismo religioso che, per quanto faccia giustamente parte della rappresentazione del reale, non funge da sfondo necessario allo sviluppo della storia, perchè storia da sviluppare nel film non c’è. E allora resta solo questo gruppo di donne forti che in qualche modo ce la faranno, in comunione, con l’aiuto del Signore. Amen.
E all’amen finale si arriva con il solito, eterno, insopportabile vizio nazionale di attenuare, mediare, risolvere, sorridere e rassicurare. Perchè Dio è grande e può arrivare anche negli uffici di Equitalia, e la provvidenza prende forma di un vecchio amico di scuola che aiuta le sventurate a risolvere i loro problemi. Anche il malavitoso, trafficante di esseri umani, è in realtà un pacioccone dal cuore d’oro che si intenerisce con un cucciolo tra le mani.
Vieni a ballare in Puglia
L’accoglienza positiva ricevuta a Berlino, al netto della nutrita rappresentanza di famiglia e amici presente in sala, è dovuta probabilmente al famigerato effetto cartolina buonista: il Salento è bellissimo, e lo è ancora di più se gli occhi che lo guardano sono occhi tedeschi o comunque nordici.
In grazia di Dio piacerà a tutti i salentini, a molti baresi perchè ad inizio film c’è anche un attore che recita un paio di battute in dialetto barese e che quindi in sala svolgerà la funzione di bendisporre la platea di Bari, ai salentini emigrati all’estero, e a tutti gli stranieri che stanno cercando un bel posto per passare le vacanze. Insomma, Apulia Film Commission al 100%.
In grazia di Dio: riscoprirsi e riscoprire
l’opinione di Mauro Tucci
Cadere per poi rialzarsi, più forti di prima. E scoprire che nulla c’è di più importante al mondo di quello che possiamo tirar fuori da noi stessi.
La crisi economica interpretata come una mutazione alle nostre abitudini. E fin qui non ci sarebbe nulla di nuovo, naturalmente ad una privazione corrisponde un cambiamento. Se non fosse che questo passaggio, apre ai protagonisti del film una strada nuova e, per certi versi, migliore della precedente. Questo potrebbe essere un degno compendio per In grazia di Dio, ultimo lavoro di Edoardo Winspeare che torna a dirigere un lungometraggio dopo il lontano 2008, anno di Galantuomini, probabilmente il suo titolo più noto. E lo fa ambientando tutta la storia in quella che è la sua terra d’adozione, il Salento. Oltre ad usare il suo paese come set cinematografico, prende in prestito anche gli attori, che tali non sono, in quanto tutti i protagonisti della pellicola sono persone del luogo, assolutamente non professioniste. Si va da sua moglie (che però si era già fatta dirigere dal marito in Il miracolo) all’estetista, passando per il pescatore e la barista.
Come reagire innanzi al tremendo tsunami economico che sta travolgendo l’Italia? Una risposta può esserci data dalla visione del film. Qui l’azienda di famiglia è costretta a chiudere e Adele e Vito non sanno come onorare i debiti presi con la finanziaria. Questo trascurando anche il gravoso peso economico di una famiglia da sostenere. E così, la casa viene svenduta per racimolare qualche quattrino. E mentre Vito emigra in Svizzera (del referendum non si sapeva nulla allora), Adele insieme alla figlia Ina, la mamma Salvatrice e la sorella Maria Concetta sono costrette a trasferirsi in una piccola e fino ad allora abbandonata casa in campagna dove cominceranno una nuova vita, coltivando la terra e godendo dei suoi frutti.
Inutile dire come questa scelta porterà grandi tormenti, soprattutto tra le due ragazze più giovani. Ina, che sta cercando di prendere la maturità all’istituto professionale e dove è già stata bocciata per una volta, non manda giù il fare una vita così sacrificale. D’altronde il suo ideale di vita è quello di sposarsi un uomo ricco e trascorrere il resto delle giornate in shopping compulsivo. Per rendere benissimo l’idea dello status di Ina, basti pensare a cosa accadrebbe se i nostri nativi digitali, fossero presi ed improvvisamente catapultati in piena campagna, nel fare una vita dove l’elettricità è un lusso. E poi c’è Adele che invece ha sempre coltivato la passione per la recitazione e la sua tenacia nel raggiungere l’obiettivo, la porterà a provare le parti direttamente tra un lavoro e l’altro nei campi di famiglia, non avendo altro tempo libero. Tra lo scherno, per nulla velato, della sorella.
Il rapporto fra le quattro donne infatti è tutt’altro che idilliaco. Quotidianamente volano offese e parole pesanti tra loro, senza il minimo rispetto per la posizione o l’età. Ma come se nulla fosse successo, basterà un tramonto per far dimenticare tutto e ricominciare da zero. L’egoismo sembra essere il tratto caratteriale dominante di ognuna, perfino della nonna, che si occupa sì di far spesso da paciere, ma che in fondo in fondo pensa solo al suo nuovo compagno e ad un matrimonio ormai in età avanzata. Così le altre, chiunque pare avere un fine che nulla ha che vedere con il bene di quel nucleo familiare, mai così vacillante. Ma proprio per le mille difficoltà di tutte, nell’approcciarsi con questa amara realtà, che saranno costrette ognuna ad essere la stampella dell’altra. E questa sarà la loro grandissima forza. Riusciranno a reinventarsi e a riscoprire il piacere della vita, nonostante quest’ultima faccia ben poco per rendersi simpatica.
Paradossale, e spaventosamente attendibile, come siano rappresentate vittime e carnefici della crisi economica. La piccola fabbrica tessile, a conduzione famigliare, è costretta a chiudere i battenti per via della spietata concorrenza cinese, che offre lo stesso lavoro a cifre per noi italiani non accettabili. Al tempo stesso sono mostrate le ragazze del piccolo paese fare spesa in un tipico negozio cinese e, come aggravante, lamentarsi perché otto euro son troppi per un capo d’abbigliamento. Una perfetta catena dove l’ultimo anello si lega al primo.
Un ottimo lavoro per il regista austriaco di nascita, presentato anche al festival di Berlino, nella sezione Panorama. Un film che abbaglia proprio come quel sole che irradia sovente quella splendida terra raccontata da Winspeare. La speranza, alla fine della visione, è che nello spettatore si sia infusa una nuova luce che possa far emergere i veri valori e piaceri della vita. La soddisfazione del compimento di un lavoro, il sorriso di chi ti è vicino, la natura ed ogni meravigliosa sua creatura, il piacere della semplicità. “La crisi porta progresso e chi la supera, supera sé stesso senza essere superato”. Questo piccolo estratto da “Il mondo come io lo vedo” di Albert Einstein, è proprio ciò che accade, inaspettatamente, alle quattro donne. Riscoprirsi e riscoprire.