Casi italiani: Romanzo di una strage

E se si trattasse di indagini su cittadini al di sopra di ogni sospetto?

Dopo quarantatré anni dalla strage di Piazza Fontana un tentativo di far luce e chiarezza su alcuni avvenimenti dei terribili “anni di piombo”.

Locandina del film

12 dicembre 1969. Milano. Piazza Fontana. Banca Nazionale dell’Agricoltura. Ore 16.37.

Esplode un ordigno che provocherà la morte di 17 persone e 88 feriti. Immediatamente si pensa che lo scoppio possa essere stato causato da una caldaia mal funzionante, ma sarà il tetro spettacolo dei resti rinvenuti nella banca a far crollare questa – troppo – semplicistica spiegazione.

Nello stesso momento a Roma esplodono altre tre bombe che non lasciano vittime ma 17 feriti.

A Milano le indagini sono nelle mani del Commissario Luigi Calabresi (Valerio Mastrandrea) che, tenendo sotto stretto controllo l’ala anarchica, richiama in Questura Giuseppe Pinelli (Pierfrancesco Favino). Quest’ultimo – che ha contatti con l’editore Giangiacomo Feltrinelli (Fabrizio Parenti), che incita gli studenti universitari di sinistra alla lotta..anche armata se necessario –  è un anarchico non estremista, non violento, tanto da avere rapporti abbastanza cordiali con lo stesso Pinelli, che in fondo sa non essere il responsabile di un tale massacro. Nello stesso tempo viene arrestato Valpreda (Stefano Scandaletti), un anarchico più che convinto che, per le sue idee troppo in disaccordo con quelle di Pinelli, viene da quest’ultimo cacciato dal circolo anarchico “Il ponte della Ghisolfa”e considerato il colpevole dell’accaduto.

Trailer del film

Pinelli viene trattenuto in caserma per l’interrogatorio molto più del necessario e di quanto sia previsto dalla legge. Dopo tre giorni muore precipitando dalla finestra dell’ufficio del Commissario Calabresi in un momento in cui questi si era allontanato.

La spiegazione che viene fornita a tal proposito è: suicidio. Pinelli si sarebbe ucciso per essersi ritrovato invischiato con Valpreda e l’attentato.  Nemmeno gli altri agenti presenti in quel momento nell’ufficio hanno saputo dare a Calabresi risposte esaurienti. Si arriva persino a pensare che sia stato lo stesso Commissario a uccidere l’anarchico con un colpo di karate i cui ematomi sono stati trova dietro il collo (per poi scoprire, in sede processuale, che sono segni lasciati dal ceppo del tavolo dell’obitorio).

Pier Francesco Favino in una scena del film

Pinelli attraverso gli occhi della stampa diviene un martire. E la polizia diviene il male da debellare con versioni riguardo l’accaduto che cambiano repentinamente sfiorando il ridicolo.

L’opinione pubblica, i gruppi militanti e gli anarchici sono tutti contro il Commissario Calabresi che viene ripetutamente minacciato di morte per aver ucciso “un compagno della lotta contro lo Stato”. Eppure Calabresi continua le sue indagini- – nonostante lo scetticismo proveniente dall’alto – scoprendo l’estraneità ai fatti del giovane Pinelli e un traffico d’armi illecito, probabilmente collegato all’uso del tritolo con cui è stata fabbricata la bomba di Piazza Fontana, guidato dagli estremisti veneti.

Da questo momento i fatti precipitano: dopo la morte dell’editore Feltrinelli sui tralicci dell’alta tensione, nel maggio 1972 Luigi Calabresi viene ucciso con colpi di pistola senza che tale efferatezza sia mai stata rivendicata.

Gli interpreti

Valerio Mastrandrea con questo film ci regala nel modo più assoluto la sua interpretazione migliore e più matura.

Conferisce al ruolo di Calabresi grande umanità, rispetto per la Divisa e amore per il proprio Paese. È riuscito pienamente nel suo mestiere di attore lasciandoci scoprire appieno il suo talento e la sua bravura. Incantevole. Favino convince un po’ meno nella parte del milanese Pinelli cui, però, dona un aspetto reale non rendendolo una “macchietta”, estremizzando quelli che potevano essere i suoi ideali e ritraendolo anche come un affettuoso marito e padre. Un uomo, insomma, che, sì aveva le sue idee anche antipolitiche, ma che non avrebbe potuto organizzare autonomamente un disastro simile. Bellissimo è anche ritrovare sullo schermo, nel ruolo della madre del Pinelli, la bravissima attrice Giulia Lazzarini. Un cast di grande eccellenza: Giorgio Tirabassi (nel ruolo del Professore), Luigi Lo Cascio (il Giudice Ugo Paolillo), Fabrizio Gifuni bravissimo nei gesti, nella recitazione e nella voce (nel ruolo di Aldo Moro), Sergio Solli (nel ruolo del Questore Marcello Guida). E questo grande coro di attori non poteva che essere perfetto per riuscire a portare sullo scherma uno degli episodi più tragici che l’Italia abbia dovuto affrontare.

Pier Francesco Favino e Valerio Mastrandrea in una scena del film

Un film alla ricerca di verità

Marco Tullio Giordana racconta di questi tragici eventi a distanza di oltre quarant’anni e non possiamo che essergliene grati. Prima di tutto perché i ragazzi delle nuove generazioni devono conoscere questi fatti che hanno costruito la nostra Italia e la nostra Storia nel bene e nel male. Inoltre, perché è un chiaro sintomo della voglia di verità! Ancora oggi si è alla ricerca di quei nomi, di coloro che furono i responsabili di una delle più gravi ferite inferte allo Stato. È un film che assolutamente non si può perdere perché racconta la Storia senza un partito preso: semplicemente racconta i fatti.. anche quando ciò che si vede e si sente sembra assolutamente impossibile e ridicolo.

Ottima la regia di Giordana che dopo La meglio gioventù e I cento Passi colpisce di nuovo il nostro animo e le nostra coscienza con questo grandioso film incentrato sulla nostra Storia e i nostri ricordi. Un grande e attento lavoro di memoria e ricostruzione storica.. di cui avevamo tutti assolutamente bisogno!

Valerio Mastrandrea in una scena del film

L’eredità del film

Al termine del film si esce dalla sala con una certa inquietudine e con tanta rabbia. Si pensa al nostro Belpaese e a cosa gli è stato fatto, a quello che ci hanno raccontato, alle verità che ci hanno fatto voluto far credere come vere e reali. Feltrinelli suicidatosi con i tralicci dell’alta tensione? Pinelli suicidatosi gettandosi da una finestra o messo letteralmente al tappeto da un colpo di karate? Il giovane Peppino Impastato che, tanta era la voglia di farla finita, da prendersi a sassate sul cranio per legarsi su dei binari e farsi saltare in aria?

E questi sono solo alcuni casi del recente passato..poi si pensa ad oggi.. e viene in mente un capitano di una nave che per caso scivola e si ritrova su una scialuppa di salvataggio.. la differenza dei casi è netta.. eppure..a distanza di trenta, quarant’anni è possibile che l’Italia sia sempre la stessa?

Grazie a Marco Tullio Giordana per farci credere che non è così! Non DEVE, non PUO’ essere così!

La ricerca della verità nel film di Giordana

di Jessica di Paolo

Il 30 marzo arriva nelle sale italiane il nuovo film di Marco Tullio Giordana che ripercorre gli avvenimenti fondamentali dell’Italia degli anni 60 con particolare attenzione alla bomba che esplose il 12 Dicembre 1969 a Milano. Il 12 Dicembre 1969 ore 16 e 37 in pieno “autunno caldo” una bomba esplosa a Milano, in piazza Fontana, nella sede della Banca nazionale dell’agricoltura, provocò 17 morti e oltre 100 feriti. L’incapacità di risolvere il
caso, di cui dettero prova gli apparati dello Stato, fu messa sotto accusa dall’opinione pubblica e dalla stampa di sinistra, che individuò nell’estrema destra fascista la matrice politica dell’attentato e denunciò le pesanti responsabilità dei servizi di sicurezza nel deviare le indagini verso un’improbabile “pista anarchica“.

Pier Francesco Favino in una scena del film

Fra i fermati c’è Giovanni Pinelli (Pierfrancesco Favino), un anarchico non violento che il commissario Luigi Calabresi (Valerio Mastrandrea), stima e sa perfettamente estraneo alla strage. Viene arrestato invece Pietro Valpreda (Stefano Scandaletti), un ballerino, spesso in contrasto con gli anarchici e con lo stesso Pinelli. Il colpevole ideale. Per ottenere la conferma della pericolosità di Valpreda, Pinelli viene interrogato per ore e ore, trattenuto oltre i limiti della legge. Nel momento in cui Calabresi si allontana dall’ufficio, l’anarchico precipita giù dalla finestra dell’ufficio del commissario in circostanze misteriose. Non si andrà mai in fondo a questa storia.

La Questura tenta di giustificare l’accaduto; alla fine si arriverà ad una conclusione “comoda” per tutti: Pinelli si è suicidato perché incastrato dalla polizia. Calabresi non ci crede e continua le sue ricerche. Sarà però obbligato a sostenere questa tesi in sala stampa, nonostante non sia questa la sua intenzione. I giornalisti, che lo incalzano di domande mettendolo in contraddizione, interpretano il suo disagio come una sorta di oscura colpevolezza. Diventa il bersaglio dell’opinione pubblica: scritte al muro che lo accusano di aver ucciso Pinelli, telefonate anonime, fino ad arrivare ad un punto di non ritorno che costerà caro al commissario.

Intanto le ricerche continuano e la pista anarchica viene abbandonata per una pista più concreta che si rivelerà probabilmente quella giusta. Nell’incontro al Quirinale tra Saragat e Aldo Moro si comincia a scoprire la verità. Il Ministro degli Esteri, democristiano, riceve delle informazioni in cui si indica chiaramente che i responsabili della strage siano i gruppi neonazisti veneti e che la pista rossa è un evidente depistaggio messo in opera dai servizi segreti. Saragat non vuole sentire ragioni e da quel momento si estranea dalla vicenda. Questa irresponsabilità del Governo e di chi dovrebbe guidare il popolo è agghiacciante: nessuno si prende le proprie responsabilità, tutti quanti, a partire da Marcello Guida e Antonino Allegra ( superiori di Calabresi ) fino ad arrivare allo stesso Saragat, “scaricano il barile” detto in parole povere.

Nessuno di questi grandi personaggi che dovrebbe rappresentare il popolo italiano ha il coraggio e la forza di intraprendere il cammino della giustizia. L’importante è nascondere tutto ciò che potrebbe screditare l’immagine dello Stato, altrimenti, come dice Allegra, “ la gente non crederebbe più nello Stato e nella giustizia”. Perché, mi chiedo, c’è qualcuno che ha ancora oggi la voglia di crederci ? Le persone come Calabresi che credono nel potere della verità e della giustizia sono destinate a perdere. Nel momento in cui  il Commissario scopre il traffico internazionale di armi collegato con gli esponenti della intelligence e i neo nazisti veneti, la reazione più “naturale” è quella di ammazzarlo.

Laura Chiatti e Valerio Mastrandrea in una scena del film

L’obiettivo del film

Tuttavia l’obiettivo del film, dice il regista Marco Tullio Giordana, non è quello di trovare i colpevoli della strage. “Credo però che un film- sia pure attraverso le sue inevitabili necessarie semplificazioni- possa aiutare la ricostruzione di un avvenimento così controverso, possa fissarlo nella memoria dello spettatore, appiccicandosi al suo “vissuto” quasi come un’esperienza personale. Per questo motivo, credo sia molto importante affrontare la storia terribile di Piazza Fontana e raccontarla- senza reticenze, senza pregiudizi, senza interpretazioni di comodo.” Non c’è quindi nel film l’intenzione di accusare i responsabili della strage. Il regista vuole solo raccontare, ricostruire passo per passo un evento che ha scosso il popolo italiano. E sembra che ci sia riuscito piuttosto bene.

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