E’ un piacere ritrovare il regista Luca Murri che ci parla del suo secondo cortometraggio dal titolo Un amato funerale che vede come protagonisti gli attori Giorgio Colangeli e Milena Vukotic e come direttore della fotografia il regista Daniele Ciprì.
Avevamo lasciato il regista Luca Murri al suo esordio alla regia con Cierresse, lo ritroviamo oggi con Un amato funerale scritto, diretto e interpretato tra il 2013 ed il 2014, prodotto da Debora Leonardi e Salvatore Leonardi. Il corto, in concorso in diversi festival, ha vinto il premio come miglior attrice a Milena Vukotic al Corto Tendenza 2014, il premio del pubblico allo Zero Trenta Festival Nazionale del Cortometraggio e ai G AWARDS 2014, il premio come miglior corto al PAN di Napoli ed è stato evento speciale in Puglia al festival Dal racconto al film.
Luca Murri ha anche scritto e diretto il videoclip L’attimo della band Amici di pina arrivando secondo nella sezione cortissimi del Fluvione Film Festival dove ha vinto il premio per la miglior fotografia e vincendo la sezione ZeroClip 2014.
Un amato funerale
In seguito alla morte della bisnonna, nonna e nipote si ritrovano a dover raggiungere la città del funerale su di un motorino. Un guasto però li costringerà a fermarsi in un paesino dove, grazie ad una festa in piazza, faranno incontri inaspettati…
Al suo secondo cortometraggio, Luca Murri con Un amato funerale dimostra già una maturità da regista professionista, dirigendo con maestria attori del calibro di Giorgio Colangeli e Milena Vikotic. Orchestrando un on the road dalla sceneggiatura solida, il regista si mette anche in gioco ritagliandosi una parte non marginale davanti alla macchina da presa. Splendida la fotografia dietro la quale si cela il tocco inconfondibile di Daniele Ciprì e bravissimi i protagonisti nel delineare i rispettivi personaggi. Un cortometraggio da non perdere.
L’intervista a Luca Murri
Ciao Luca, bentornato su cinemio. Iniziamo dal soggetto del corto: ci racconti come sei arrivato all’idea?
L’idea di Un amato funerale nasce da molto lontano. Diciamo che è rimasta nel cassetto per qualche anno. La suggestione che ha dato origine a tutto l’immaginario è stata però sicuramente la storia d’amore che mia nonna ha vissuto in età anziana con quello che era stato il suo fidanzatino a 15 anni e con il quale non aveva mai fatto l’amore.
L’aver visto cosi da vicino un storia intensa e particolare, averla vista addosso ad una persona che mi ha letteralmente cresciuto, credo mi abbia aperto gli occhi su qualcosa che spesso diamo per inesistente: la possibilità che due persone anziane si amino (anche carnalmente).
Si tende a smettere di vederle come persone e sono per noi solo i ruoli familiari che rivestono. In questo senso ho desiderato mettere a nudo l’essenza che unisce le persone e non le gerarchie e i ruoli di potere che le distanziano. Questo avviene soprattutto in famiglia.
Quando poi, 2 mesi prima che mia nonna se ne andasse, è venuta a mancare sua madre e lei non andò al funerale, mi si apri un varco di riflessione. Mi chiesi come fosse possibile che, indipendentemente dai problemi logistici e il dolore o il fastidio che abbiamo nell’animo verso un genitore, si possa mancare al loro funerale.
Ancora oggi per l’esperienza personale non ho tutte le risposte ma nel corto ho voluto aprire la valvola dell’immaginifico e restituire il sapore dell’occasione che si cela dietro ad ogni tragedia, della possibilità di ricordarsi che si è ancora vivi. E questo accade forse davvero solo quando si è davanti alla morte.
E mentre scrivevo il soggetto di Un amato funerale mi ha sempre martellato nella testa una poesia di Gibran che si chiude con un’affermazione che non lascia scampo: ”solo l’amore e la morte cambiano ogni cosa”. Ecco credo che facendo convergere tutte queste cose e il senso di inadeguatezza che mi dava il non avere una macchina in famiglia a 20 anni, ho immaginato un on the road dello spirito che montasse in sella a uno scooter.
E dove perdersi e ”inciampare” nell’imprevisto potesse restituire la consapevolezza di essere ancora vivi. E di quanto intorno a noi ci sia di meraviglioso e possibile anche quando non riusciamo più a vederlo.
Il cast del corto è davvero molto ricco: hai avuto infatti l’opportunità di lavorare con attori del calibro di Giorgio Colangeli e Milena Vukotic. Come sei arrivato a loro e come hai lavorato con loro per la costruzione dei personaggi?
Per quanto riguarda il cast siamo stati sicuramente fortunati. Milena non la conoscevo e sono andato con Debora Leonardi (la produttrice del corto) a vederla a teatro per lasciarle la sceneggiatura di Un amato funerale. Dopo qualche giorno mi ha richiamato e mi ha chiesto di incontrarmi. Ci siamo trovati subito. Ha amato il personaggio di Italia e parlando di spiritualità, Balzac e dello stare al mondo mi ha congedato dicendo ”io ci sono”. Fu il vero motore della cosa. Con Debora partimmo verso un sogno difficile ma per il quale avremmo lottato e dato tutto di li ad un anno.
Giorgio avevo avuto modo di conoscerlo anni prima e sapevo che era un artista di grande umiltà e che nonostante il suo nome scommetteva sempre molto sui giovani. Cosi gli ho inviato la sceneggiatura e ne rimase affascinato. Inoltre non mi scorderò mai quando al telefono mi disse ”E tu mi dai anche l’opportunità di realizzare un sogno. Conoscere e lavorare con Milena Vukotic, attrice che io stimo e non sono mai riuscito a conoscere, che ho sempre seguito a teatro”.
Lavorare con loro è stato molto naturale. Per Un amato funerale abbiamo girato in Sicilia e ci siamo incontrati un paio di volte su Roma per discutere dei personaggi e soprattutto del senso comune che la storia doveva avere e nella quale loro operassero. Per indole non amo costringere gli attori nei personaggi, credo che ci sia sempre un dialogo troppo stretto tra chi si interpreta e la propria persona e che appiccicare un personaggio come una figurina addosso ad un attore sia stupido e controproducente.
Non ho mai creduto nell’attore come strumento (anche se alcuni forse per carattere sarebbe meglio lavorassero cosi). Certo un attore deve saperti dare ciò che vuoi ma anche tu devi lasciarlo libero di lavorare perché ci sarà sempre una distanza tra quello che immagini e quello che immagina lui. E sul filo sottile che lega questa due visioni credo ci sia la buona interpretazione. Nell’ascolto reciproco e nella capacità di capirsi velocemente quando si sta girando.
Per questo un buon rapporto umano con loro è fondamentale per lavorare con gli attori.
Termina qui la prima parte dell’intervista al regista Luca Murri. Continua a leggere la seconda parte.