Approda il 9 aprile su Disney+ Good American Family, la serie con Ellen Pompeo (Grey’s Anatomy) e Mark Duplass (The Morning Show) tratta da un avvincente e inquietante fatto di cronaca statunitense. Nel cast, oltra a Imogen Reid nei panni della figlia adottiva, ritroviamo un’altra vecchia conoscenza del piccolo schermo, Christina Hendricks (la rossa esplosiva di Mad Men, Joan Harris). I primi 5 episodi saranno disponibili al lancio, seguiti da un episodio a settimana.
Good American Family
Una coppia dell’Indiana, già genitori di tre ragazzi, decide di adottare una bambina affetta da una rara forma di nanismo.
Fin dall’inizio la bambina, Natalia Grace (Imogen Reid) si rivela un po’ problematica, ma i Barnett, i genitori adottivi, sono convinti si tratti di una normale reazione alla nuova situazione. D’altronde la bimba, orfana proveniente dall’Ucraina, era già stata adottata per due anni negli Usa ma in seguito “restituita” all’ufficio adozioni; quindi, era probabile fosse un po’ traumatizzata.
Kristine Barnett (Ellen Pompeo), d’altronde, è certa di poter gestire qualsiasi eventuale difficoltà, forte dell’esperienza maturata con uno dei suoi figli, Jacob, diagnosticato autistico in tenera età. Anche il padre, Michael Barnett (Mark Duplass), dapprima non del tutto convinto, si lega velocemente alla piccola, con cui ha un rapporto preferenziale.
Nonostante le buone intenzioni, le cose presto precipitano e sfociano in un conflitto aperto, in particolare tra Natalia e la madre. Quest’ultima comincia a sospettare che la bambina sia pericolosa, che nasconda coltelli, che tenti di avvelenarla o di uccidere il resto della famiglia e, infine, che finga di avere sette anni avendone in realtà molti di più.
Per chi non conosce l’evento di cronaca cui Good American Family si ispira, meglio fermarsi qua. Sappiate che la lotta – legale e a suon di articoli, stampa e social media – diventa agguerrita e, soprattutto, estremamente divisiva, con l’opinione pubblica che oscilla tra il dare ragione a una parte o all’altra con una certa facilità.
Il trailer della serie
Storia inquietante, che pone moltissime questioni probabilmente destinate a restare irrisolte
Good American Family comincia con uno dei voice-over più iconici del piccolo schermo degli ultimi vent’anni. Quello con la voce di Ellen Pompeo che ci introduce nella narrazione. Così, giusto per togliersi fin dall’inizio il sassolino (piccolo o grande che sia) dalla scarpa: sì, è Ellen Pompeo, alias Meredith Grey. Che per vent’anni (e ancora adesso, a volte) ci introduce a un nuovo episodio di Grey’s Anatomy. Però è giusto un attimo. Quel momento iniziale, che giustamente hanno scelto di prendere di petto, senza nascondersi. Senza fingere di non immaginare che tutti, in prima battuta, avrebbero visto Meredith e non un nuovo personaggio. Ma, appunto, è giusto un attimo. Subito dopo, o almeno dopo poco, Meredith scompare e lascia il posto a Kristine Barnett.
La sfida non era sicuramente facile per Ellen Pompeo. Dopo aver visto tutti gli 8 episodi della serie in anteprima per Cinemio, direi che l’ha sicuramente superata. Dimentichiamo abbastanza in fretta la protagonista della soap opera più seguita degli ultimi anni e ci immergiamo in questa vicenda dai tratti torbidi e indefiniti.
Una sfida più semplice l’ha dovuta affrontare anche il protagonista maschile, Mark Duplass. Un po’ come in The Morning Show, riveste ancora una volta i panni di un uomo debole, tendenzialmente vittimista. In questo caso, in maniera ancora più irritante e infantile che in precedenza. Certo, essendo ispirata ad un fatto reale, non si può dire che sia una presa di posizione arbitraria far ricadere ogni colpa sulle donne della situazione. È quantomeno una scelta comoda, nella fiction come nella vita.
Good American Family – Perché vederla
Un altro personaggio con non poche zone d’ombra è quello interpretato dall’ex-rossa di Mad Men, Christina Hendricks che, complice forse anche il colore diverso di chioma, non ci richiede un grande sforzo nel farci dimenticare il ruolo precedente. In Good American Family interpreta la parte di Cynthia Mans, la donna che ha aiutato Natalia Grace a ottenere giustizia nei confronti dei Barnett. La stessa che l’ha accolta e adottata. Anche se forse non del tutto disinteressatamente, come gli ultimi sviluppi (reali) della storia paiono voler suggerire.
Molto brava anche Imogen Reid nei panni di Natalia Grace. Brava soprattutto a farci comprendere come un’adulta possa, effettivamente, farsi passare per una ragazzina, visto che ha 27 anni. Ed è assolutamente credibile quando interpreta una Natalia novenne.
La serie è raccontata in una modalità che permette allo spettatore di modificare la sua prospettiva, dapprima volta più che altro a sostenere una parte e in seguito quasi ribaltata. Rimangono dubbi, anche perché l’intera faccenda ha dell’inverosimile per quanto è intricata.
Chi esce fuori peggio è – tanto per cambiare – il sistema. Dagli uffici di adozione che truffano e si fanno pagare spese mediche inesistenti, ai dottori che firmano documenti senza prove concrete. Alle madri adottive più interessate al tornaconto personale (che sia di immagine, come per Kristine, o di denaro, come per Cynthia) che al benessere dei bambini adottati. Sul tutto plana quell’alone di invisibilità sotto cui i bambini – disabili, ancora di più – sono celati e che permette al mondo adulto di fare il bello e il cattivo tempo, spesso anche alla luce del sole, e rimanere impuniti.
Bilancio finale di Good American Family
Per chi, come me, aveva seguito il clamore mediatico del caso di Natalia Grace, Good American Family è sicuramente interessante, perché mette in scena fatti già noti e, di per sé, coinvolgenti nella loro inquietante inverosimiglianza. (Ciò che li rende inquietanti essendo esattamente il non essere verosimili per quanto assurdi, in contrasto con la consapevolezza che sono realmente capitati).
Per chi non avesse mai sentito parlare della storia in questione, invece, la serie può sembrare una di quelle drama series un po’ torbide. Di quelle in cui fino in fondo si hanno incertezze su a chi credere e su come sia davvero possibile che cose del genere succedano. Sapendo che sono successe. Ma, d’altronde, mai come negli ultimi tempi è vero il detto che la realtà batte la fantasia. Su ogni possibile scala.