Ciarlatani

Silvio Orlando e i “Ciarlatani”: quando la vita è una recita meglio scritta del teatro

Nel testo di Ciarlatani di Pablo Remón, tradotto e diretto con ironia ed un pizzico di malinconia, quattro attori si moltiplicano in tanti ruoli per raccontare la farsa del successo e la fatica del mestiere. Silvio Orlando è il baricentro umano di una commedia che ride di sé stessa e di noi.

Si è aperta con il botto la stagione teatrale “UMANO COLLETTIVO”, organizzata dal Comune di Bari, Assessorato alle Culture, in collaborazione con Puglia Culture 2025-2026 del Teatro Piccinni di Bari. Dal 29 ottobre al 2 novembre è andato infatti in scena Ciarlatani.

Ciarlatani
Foto di Guido Mencari

Ciarlatani

Nel mondo di Ciarlatani, nulla è come sembra. E forse è proprio questo il punto: la verità non è che una recita meglio riuscita. Silvio Orlando torna sul palco con la consueta ironia e una dolcezza amara, portando in tournée in tutta Italia il testo di Pablo Remón, uno dei drammaturghi spagnoli più originali della nuova scena europea. Lo spettacolo, tradotto da Davide Carnevali e diretto dallo stesso Remón, è una giostra di personaggi, tempi e luoghi che si inseguono e si confondono, fino a dissolvere la linea di confine tra realtà e finzione.

Al fianco di Orlando, tre interpreti versatili, Francesca Botti, Davide Cirri e Blu Yoshimi, si trasformano in decine di figure, passando da un set cinematografico a una scuola di recitazione, da un bar di periferia a una stanza d’albergo. In poco meno di due ore, lo spettatore attraversa dieci capitoli, dieci mondi, dieci punti di vista sulla medesima farsa: quella del successo e del fallimento, dell’arte e della vita, della maschera e del volto.

Ciarlatani
Foto di Guido Mencari

Il teatro che si guarda allo specchio

Ciarlatani (titolo originale Los Farsantes) è un testo sul teatro, ma anche un testo sul mondo. Remón parte da una riflessione sul mestiere dell’attore e del regista, ma finisce per parlare di tutti noi: di chi vive cercando approvazione, di chi costruisce la propria identità come fosse un copione da recitare.
Un continuo dentro e fuori, un gioco di specchi che non serve solo a far ridere, ma a restituire il disagio del tempo presente.

In scena, la scrittura frammentata di Remón diventa un mosaico di voci e situazioni. Il ritmo è serrato, quasi cinematografico: ogni capitolo si apre e si chiude come una sequenza, con tagli netti, flashback e sovrapposizioni. Il teatro si fa e si disfa davanti agli occhi del pubblico, mostrando le sue impalcature, le sue finzioni, le sue verità.

Silvio Orlando è l’asse invisibile intorno a cui ruota tutto. Con la sua voce inconfondibile e la misura che da sempre lo distingue, attraversa i toni del comico e del tragico senza mai ostentarli. I suoi personaggi incarnano il disincanto di chi ha visto tutto eppure continua a credere nel potere delle storie.

Silvio Orlando
Foto di Guido Mencari

Tra risata e disincanto

Remón alterna momenti di irresistibile comicità a passaggi di autentica malinconia. La sua è una scrittura che gioca con l’assurdo e la leggerezza, ma per arrivare in profondità. La risata, in Ciarlatani, non è mai gratuita. È uno strumento di smascheramento, un modo per sopportare la fatica del vivere.
Dietro l’ironia, infatti, si nasconde una riflessione dolorosa: il fallimento non è l’eccezione, ma la condizione normale di chi fa arte. Come dice uno dei personaggi, “il successo è solo una forma più costosa di fallimento”.

Tutti siamo Ciarlatani

Il merito di Remón e Orlando è di trasformare una commedia sull’industria dello spettacolo in una parabola universale. Non si parla solo di attori e registi, ma di tutti noi: di come recitiamo per amore, per paura, per adattamento.
In questo senso, Ciarlatani è anche una riflessione politica e morale: nel tempo dei social e dell’immagine, la finzione è diventata la forma naturale della verità.

Eppure, in mezzo a questo gioco di specchi, resta una piccola speranza: forse proprio chi riconosce la propria falsità può ancora dirsi autentico.

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