The Void – Il Vuoto è un film del 2016 diretto da Jeremy Gillespie e Steven Kostanski, membri del collettivo canadese Astron-6. Protagonisti dell’opera sono: Aaron Poole, Kathleen Munroe e Kenneth Welsh.
Nonostante il limitato budget a disposizione (crowdfunding), il lungometraggio è stato distribuito in alcune sale americane ed ha raggiunto il resto del mondo attraverso l’home video e lo streaming sulla piattaforma Amazon Prime.
The Void – Il Vuoto
Durante un turno di pattuglia, il sergente Carter individua un ragazzo ferito e lo accompagna all’ospedale più vicino: un pronto soccorso prossimo al trasloco. Al suo interno, oltre all’ex moglie del poliziotto, vi sono dei pazienti e un numero esiguo di medici. Come se non bastasse, a circondare la struttura accorrono inquietanti figure incappucciate, pronte a far fuori chiunque tenti di uscire. Il male comincia a prender forma e gli ospiti saranno costretti a percorrere le viscere dell’edificio pur di fuggire.
Distretto 13 – Le brigate della morte
Consapevoli dei mezzi ridotti all’osso, i cineasti si servono di un’unica location: il dismesso pronto soccorso. È proprio al suo interno che i caratteri si sviluppano ed entrano in contrasto, sfaccettando dei personaggi sgradevoli e discutibili. In tal senso, il gruppo eterogeneo che abita la produzione non è composto da buoni o cattivi, ma da individui che cercano di fronteggiare il problema come meglio credono. Il giudizio morale perciò, viene totalmente sospeso a favore di dinamiche umane più interessanti: distanti dalle odierne raffigurazioni. La scrittura quindi, spazia continuamente dalla cooperazione all’isolamento della psicologia dei malcapitati, alternando la posizione di vantaggio e svantaggio degli stessi.
La Cosa
Il pericolo che all’esterno è rappresentato dagli adepti incappucciati, si fa più tangibile nelle mura dello stabile. Invero, è con fulminea prontezza che i viscidi complessi organici cominciano ad assemblarsi sotto gli occhi attoniti dei nostri: un maleodorante miscuglio di residui extraterrestri e membra polimorfe, i cui viscosi tentacoli ne costituiscono le diramazioni più subdole. La componente splatter non mancherà, così come la sensazione di disgusto che succederà alla visione di liquidi untuosi e grossolani che cospargono gli arti delle vittime. Il sangue scorre copioso dalle ferite, i crani vengono recisi e le interiora finiscono per ricoprire le stanze dell’ospedale: ormai più mattatoio che altro. A proposito, i trucchi prostetici e il make-up volti alla realizzazione delle suddette creature risultano più che apprezzabili: la maggior parte dei fondi, del resto, è stata destinata alla concretizzazione degli effetti cosmetici dell’opera. In sostanza, la CGI viene repressa in favore di un artigianato palpabile, frutto dell’epoca proficua a cui la produzione si rifà.
Brood – La covata malefica
Il seme del male s’annida nel ventre materno, pronto a fuoriuscire e a fagocitare chiunque l’ostacoli. La mutazione che ne deriva non solo intacca la carne, ma anche i tratti psicologici dei personaggi, facendo degli stessi delle pedine collocate in un disegno più ampio. I nuovi nati rappresentano forse una moderna genealogia: una razza preparata a sostituire l’umanità e a ristabilire una gerarchia che per anni è stata sovvertita. La figura femminile ricopre un ruolo centrale per conseguire tale obiettivo: essa è il tramite attraverso cui diviene possibile il dialogo tra realtà e altra dimensione. La scrittura perciò, elabora la funzione dell’utero materno, piegando quest’ultima all’esigenza d’intrattenere e disgustare: i mostruosi nascituri sembrano quasi sobbalzare dal ventre, sospinti da una forza sconosciuta che riduce a brandelli il grembo delle genitrici.
Il signore del male…E tu vivrai nel terrore! L’aldilà
Spazio e tempo perdono di consistenza e man mano il piano multidimensionale prende forma. I confini della realtà vengono smussati, resi ancor più labili dall’atmosfera che si fa d’un tratto incorporea e metafisica. Il varco è aperto e rivolto a infinite combinazioni d’immaginario; in tal senso, il mondo a cui esso conduce si presenta enormemente disteso, sovrastato da una piramide mastodontica e sospesa. È come se l’oscuro monumento si sottraesse a una logica terrena, al fine di protendersi verso un’entità assoluta, generando inquietudine nello spettatore. In sintesi, un contesto indecifrabile in continua espansione, in grado di contaminare la realtà in modo permanente. Per concludere, i due cineasti si servono dei capisaldi dell’Horror per rielaborare la materia cinematografica (e non solo…). Gli escamotage puramente visivi rappresentano il fiore all’occhiello della pellicola, sorretta a propria volta da una sceneggiatura che inciampa a più riprese. Nello specifico, il finale rischia di far crollare l’intero impianto (troppa carne al fuoco), ma a detta di un nostalgico e amante del genere, gli ultimi istanti innalzano il valore della produzione.
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