Falso come Orson Welles

“L’arte è una menzogna che ci fa capire la verità.”

E’ questo l’assioma su cui Orson Welles, grande regista ciarlatano (da me menzionato nello scorso post su Woody Allen), costruisce la sua paradossale inchiesta sugli imbrogli F for Fake (F come Falso, 1973-1975).

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Come Welles truffò Hollywood

Presentato nel settembre ’73 al Festival del Cinema di San Sebastian, esso viene definito dallo stesso regista “la falsificazione di un documentario”.

Ripercorrendo le vicende di Elmyr de Hory, sorprendente falsario d’arte (molti suoi finti Modigliani sono custoditi in vari e importanti musei del mondo), e di Clifford Irving, autore della biografia contraffatta sul miliardario Howard Hughes, Welles si autocelebra a sua volta come grande truffatore della comunicazione massmediologica.

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Elmyr de Hory con lo schizzo di un suo falso Modigliani

Formidabile, infatti, la sua trasposizione radiofonica nell’ottobre 1938, durante la serie The Mercury Theatre on the Air della CBS, del romanzo The War of the Worlds (La guerra dei mondi) di H. G. Wells, che seminò il panico in America per paura di un attacco dei marziani alla Terra.

Un po’ come già fece il poeta E. A. Poe, quando su un numero del New York Sun del 1844 pubblicò un servizio fasullo sulla traversata dell’Atlantico in pallone aerostatico.

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Ma, ci viene raccontato in questo documentario, Orson Welles si era burlato di tutti fin dall’età di 16 anni: presentatosi senza un soldo al Gate Theatre di Dublino, riesce ad avere nientemeno che la parte del duca Alexander nella versione teatrale del Jew Süss di Feuchtwanger, e ci riesce spacciandosi per un famoso divo di Broadway.

Il potere del montaggio

F for Fake si inserisce nel genere cinematografico del found footage, ovvero del documentario costruito tramite l’assemblaggio di diversi filmati d’archivio: si passa dalle interviste in presa diretta alla science-fiction anni ’50.

La rievocazione della truffa radiofonica di The War of the Worlds, poi, è accompagnata dalle immagini degli UFO tratte dalla pellicola Earth vs the Flying Saucers (1956) di Fred F. Sears.

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Fotogramma da “Earth vs the Flying Saucers” di Fred F. Sears

Insomma, il film di Orson Welles in realtà non è di Orson Welles: egli non è regista, bensì montatore, e difatti viene mostrato più volte alla moviola, strumento che rende possibile questo collage di materiale.

Il montaggio viene così innalzato e si configura come atto creativo, e perciò ingannatore: ritorniamo quindi all’assioma iniziale dell’arte rivelatrice grazie all’imbroglio.

Qual’è il vero falsario del film?

Un tale concetto era stato elaborato anche dal pittore Pablo Picasso.

E pure di lui si parla in questo documentario.

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Si narra, infatti, che la bella Oja Kodar si fece ritrarre dall’artista, invaghitosi di lei, in ben 22 nudi, che sarebbero rimasti di proprietà della ragazza.

Picasso venne però a sapere, tempo dopo, che ad una mostra a Parigi erano state esposte le medesime opere, spacciate per vere ma invero falsate dal nonno malato di Kodar.

Recatosi dai due imbroglioni, il pittore non fece comunque in tempo a smascherare la truffa: il vecchio gli morì dinanzi, orgoglioso di aver fregato il sommo Picasso.

A questo punto, Welles ci rimanda alla promessa da lui fatta nel prologo: ci aveva assicurato che avrebbe raccontato la verità per l’intera ora successiva, ma ahimè l’ora è già passata da 17 minuti.

Grazie al sapiente montaggio e all’autenticità conferita dal linguaggio d’inchiesta, il regista si è preso gioco di noi, e noi siamo stati a quel gioco come il bambino che, all’inizio del film, ammira a bocca aperta i trucchi da prestigiatore di Welles.

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