La Corte nasce da una volontà del regista Christian Vincent e dal produttore Matthieu Tarot di voler lavorare con l’attore Fabrice Luchini, con il quale avevano gia collaborato per il film La Timida (1990), costruendo un personaggio sulla sua figura. A poco a poco è nato così il personaggio di Michel Racine, un presidente della corte d’assise, che viene soprannominato “doppia cifra”, per le sue condanne sempre dai 10 anni in su.
La corte
Il cognome Racine non è stato scelto a caso, ma voluto in omaggio allo scrittore Jean Racine, che fu uno dei massimi esponenti del teatro tragico francese. In realtà lo svolgimento di un processo, è molto simile a quello di uno spettacolo teatrale, dove c’è una platea, un pubblico, gli attori e tutto viene svolto con una serie di cerimonie che si ripetono all’inizio di ogni dibattimento, e cambiano solo all’interno delle argomentazioni degli avvocati della difesa e dell’accusa. Poi sarà compito dei giurati dover deliberare un verdetto, che deve decidere se una persona sia colpevole o innocente. Anche l’utilizzo del vestiario del presidente, una vistosissima mantella rossa, quasi regale nella sua vestizione.
Ma dietro le quinte, c’è poi un uomo comune, con tutti i suoi problemi psichici e fisici, e ci fa scoprire l’umanità e la profonda solitudine di un uomo, che in uno dei suoi processi, riconosce in una giurata, Ditte (Sidse Babett Knudsen, famosa per la serie tv danese “Borgen”) l’infermiera che si era presa cura di lui dopo un operazione, di cui lui si innamorò segretamente durante le sei settimane di permanenza. Il regista si è appassionato alla serie, innamorandosi dell’attrice, e dopo aver saputo che lei sapeva recitare anche in francese, non ha avuto esitazioni a contattarla per proporle la parte.
La corte ha anche una doppia veste, non solo legata al lavoro del protagonista ma anche quella che lui fa alla donna, che lei accetta con molta discrezione, perché per legge non ci possono essere contatti tra corte e giuria, per via del verdetto, che potrebbe essere annullato e loro sarebbero passibili di sanzioni. L’ho trovato un film molto delicato, ispirato alla filmografia di François Truffaut, legato molto al racconto dei personaggi non solo attraverso la parola, ma anche attraverso sguardi, imbarazzi, gesti che mostrano di più. Inoltre Ditte è proprio il simbolo della dolcezza ed emana questa bellezza interiore e una luce che esprime attraverso il suo sorriso, che fa innamorare anche il pubblico.
Per preaparsi al ruolo la Knudsen ha visto “Le regole del gioco” (1939) di Jean Renoir, che gli è stato indicato dal regista stesso. A Fabrice Luchini è piaciuto subito questo ruolo. Per prepararsi ha seguito solo un processo, e gli è bastato osservare ed ascoltare per comprendere la complessità di un uomo che deve saper giudicare senza pregiudizi, ma solo attenendosi ai fatti e senza influenzare i giurati. E’ stata la sceneggiatura soprattutto a convincerlo di interpretare questo ruolo.
Poi ha accennato che se fosse stato per lui, avrebbe emesso un verdetto nel giro di 15 minuti. Ma trova giusto che tutti abbiano diritto ad una difesa, e poi se sono colpevoli, vengano condannati, ma deve esserci la formula senza nessuna ombra di dubbio.
La corte ha partecipato al Festival del Cinema di Venezia, dove ha vinto per miglior sceneggiatura e miglior attore protagonista. Uscirà nelle sale italiane il 17 marzo distribuito dall’Academy Two.