Nei cinema da giovedì 11 ottobre Il complicato mondo di Nathalie, scritto e diretto dai due fratelli Foenkinos, David (di professione, scrittore di successo) e Stéphane (di professione, direttore di casting, sceneggiatore, regista e, quando capita, attore in piccoli ruoli, giusto per non farsi mancare nulla). Protagonista, la fantastica ed estremamente in parte Karin Viard, non per un caso nominata ai César 2018 come migliore attrice per la sua splendida interpretazione. Attorno a lei, un universo di comprimari degni di nota, dall’ex-marito (Thibault de Montalembert), alla nuova compagna dell’ex-marito (Marie-Julie Baup), all’amica che ancora la sopporta (Anne Dorval), alla figlia che tende a non sopportarla più (Dara Tombroff), alla nuova collega ventottenne, che lei non sopporterà mai (Anaïs Demoustier).
Il complicato mondo di Nathalie
Nathalie (Karin Viard) ha passato, da (molto) più di qualche giorno, la quarantina. Anzi, sta pericolosamente avvicinandosi al giro di boa del mezzo secolo. È professoressa di lettere. È divorziata e il suo ex-marito ha una nuova compagna, manco a dirlo, più giovane e, apparentemente, parecchio più svampita.
Nathalie ha anche una figlia. E sua figlia sta compiendo diciott’anni.
Da brava mamma, le organizza la festa di compleanno. Invita tutti, l’ex-marito Jean-Pierre (Thibault de Montalembert), la nuova partner Isabelle (Marie-Julie Baup), gli amici della figlia, la sua migliore amica Sophie (Anne Dorval), il marito della sua migliore amica Sophie (perché loro stanno ancora insieme e lui non l’ha lasciata e si è messo con un’altra, lui), la loro figlia, che è anche amica della sua (per la proprietà transitiva dell’amicizia, che si trasferisce evidentemente dalle madri alle loro progenie).
Da brava mamma, aiuta la figlia, Mathilde, promettente ballerina classica in procinto di sostenere l’audizione che potrebbe lanciare la sua carriera, a prepararsi per il party. E qui avviene il primo cedimento: allo specchio, una a fianco all’altra, la madre guarda la figlia, e vede il riflesso di ciò che lei stessa era alla sua età, all’inizio della vita, davanti a sé solo promesse, solo futuro, solo freschezza gioventù sogno. Ma si vede anche lei, ora, giusto accanto. E quel che vede è la se stessa ormai matura, sola, sconsolata, invecchiata, con un marito che ha scelto una donna più giovane, con una casa che si sta svuotando, con un viso che si sta riempiendo ogni giorno di una ruga in più.
La festa finisce. Nathalie scopre che il suo ex ha in programma un viaggio alle Mauritius con Isabelle, nota che a lei la portava al massimo a Dijon, abbozza. Il giorno dopo, al lavoro, altra piacevole scoperta: la sua collega è stata sostituita in modo quasi definitivo da una ragazza molto più giovane, l’intraprendente e ambiziosa Mélanie (Anaïs Demoustier), che in men che non si dica attira l’attenzione dell’intera sala professori – tutti intorno a lei, a pendere dalle sue labbra attirati come mosche al miele, preside incluso.
La figlia che sboccia, lei che sfiorisce, la nuova compagna dell’ex, più giovane e da lui più “viziata”, la collega con vent’anni di meno che arriva a detronizzarla pure sul lavoro, la solitudine sempre più pesante, gli ormoni sempre più in subbuglio, il medico che le parla di un periodo di “transito”, verso l’innominabile e temuta menopausa (ooops, l’abbiamo nominata!) … Nathalie sbotta, esplode, va in tilt. Inizia a far cose che lei stessa non pensa di poter aver fatto, dire cose che l’istante dopo si pente amaramente di aver detto, si crea terra bruciata intorno, ferendo ripetutamente quelli che ama di più. Anzi, quasi quanto più li ama, più li ferisce, li colpisce, si accanisce, fino ad arrivare all’inconcepibile. E da lì, dal gradino più basso, dal peggio del peggio, ricominciare, lentamente, a risalire.
Una commedia intensa, agrodolce, dalla fine e sottile psicologia
Nelle favole succedeva alle Regine Cattive, di norma matrigne, di guardarsi allo specchio e invidiare la pelle più fresca e liscia delle proprie figliastre. Nel cinema francese sta succedendo sempre più sovente, recentemente, che si abbordi l’argomento “crisi della cinquantina” al femminile, al punto da costituire quasi un sottogenere. Ne Il complicato mondo di Nathalie – che non a caso nella versione originale si intitola Jalouse – il tema scandaloso della gelosia della madre nei confronti della figlia – della sua bellezza e della sua giovinezza – viene esplorato apertamente, senza mezzi termini. I toni sono arguti, a tratti paradossali, per acuire l’effetto comico, pur senza perdere il contatto con la realtà, con un’analisi fine e puntuale della psicologia della donna, tanto più sorprendente quanto più si pensi che è frutto del lavoro di sceneggiatura e regia di due uomini.
Karin Viard è bravissima nel tratteggiare lo sconvolgimento emotivo e ormonale di cui è preda il suo personaggio: ce lo fa intuire in alcuni momenti, con un semplice sguardo, di sfuggita, con un lieve sospiro – come davanti allo specchio, quando si vede con la figlia accanto; come quando dice alla sua amica che per lei è più facile, sua figlia è brutta; come quando osserva il sorriso del suo nuovo spasimante e inizia a temere che sia perché nella stanza è entrata Mathilde, col suo fisico da ballerina, coi suoi capelli lunghi, con i suoi occhioni da cerbiatta. Coi suo diciott’anni. In altri momenti, invece, ce lo spiattella davanti, quasi con veemenza, questo suo stato emozionale che pare simile a follia – come quando aggredisce la sua giovane collega; come quando cancella il viaggio programmato dall’ex-marito; come quando quasi flirta col ragazzo della figlia. E non solo.
Nathalie non ha più filtri, non si contiene, non si capisce più. È come tornata adolescente con, al posto dell’acne, la pelle raggrinzita. Annaspa per mantenersi a galla, darsi un contegno, ma quel che prova è rabbia. Rabbia contro il suo ex-marito, che con la nuova donna è l’uomo che avrebbe voluto avere lei al suo fianco; rabbia contro la sua nuova compagna, che, pur non sembrando particolarmente brillante, riesce alle volte a cogliere i sentimenti altrui con maggior precisione e accuratezza di quanto faccia lei, che si è nutrita di tutte le analisi dei sentimenti di tutti i romanzi di tutta la letteratura. Rabbia anche contro la sua amica, che è ancora sposata e sembra felice, e lo continua a sembrare anche quando lei (Nathalie) le insinua il dubbio che suo marito la tradisca. Rabbia contro la giovane collega, che arriva, dal niente, propone progetti innovativi, tutti ne sono affascinati, tutti la amano, tutti la vogliono, e intanto nessuno calcola più lei, Nathalie.
Ma la rabbia più forte ce l’ha – Nathalie – contro sua figlia. E non perché è giovane. Non perché è bella. Non perché probabilmente sta per iniziare una folgorante carriera. Ma perché – in un attimo, in un momento impercettibile, davanti a uno specchio – in lei Nathalie ha visto sé. Ha visto la se stessa di un tempo, all’inizio della sua vita, con tutto il mondo davanti. E la rabbia l’ha provata vedendo quanto poco, di quel mondo che aveva davanti, le è rimasto – quante delusioni, quanti fallimenti, quanti sbagli, quanti sogni infranti.
Per superare la frustrazione di non essere diventata ciò che poteva deve arrivare all’estremo di annientare ciò che le rimanda il riflesso di quel che poteva diventare. Cancellare, azzerare per poi poter rinascere. Nella sua nuova pelle – meno liscia, meno fresca, cui si deve ancora, piano piano, adattare. Ma in cui, progressivamente, può riuscire a ri-accettarsi, a risentirsi “sé”, a ri-adattarsi.
I fratelli Foenkinos illustrano questa delicata fase di transizione aderendo, con la loro scrittura e regia, a ciò che la loro protagonista sta vivendo, associando in pratica forma e contenuto: i tanti stati d’animo che si avvicendano in Nathalie corrispondono ai tanti registri presenti nel film, dal comico, al drammatico, al malinconico, al sentimentale; la sensazione che ha la donna (e il suo stesso entourage, familiare e lavorativo) di non capirsi più, non riconoscersi, guardarsi come dall’esterno, senza quasi comprendere di essere sé, ha la sua controparte nell’atteggiamento di pura osservazione di regista e sceneggiatore, che non spiegano fino in fondo, non forniscono motivazioni, non fanno trapelare un loro punto di vista. Si limitano a mostrare le reazioni, agli incomprensibili comportamenti di Nathalie, di chi le sta attorno. Da spettatore. Da fuori.
Piccola curiosità: il professore di yoga “soporifero” (vedere il fim per capire) è lo stesso regista, Stéphane Foenkinos, tenace nel mantenere la sua reputazione di talento versatile.
Bilancio finale de Il complicato mondo di Nathalie
Commedia in cui si ride, ma non solo, e non sempre. Gli aspetti salienti de Il complicato mondo di Nathalie sono altri; in particolare, quelli inerenti alla puntuale analisi di un momento di cambiamento così importante e così ancora poco investigato della psiche e del mondo femminile, che i Foenkinos riescono a raffigurare con estrema efficacia. Dove forse scivolano un poco, lasciando emergere un’ottica più prettamente maschile, è nel legare l’inizio della rinascita di Nathalie alla presenza di un uomo nella sua vita (Bruno Todeschini). Perché, per carità, ci sta che possa simboleggiare il suo rifare pace con se stessa, con la sua età, con la sua nuova maturità. Ma forse se fosse avvenuta a prescindere, e non sempre e come sempre collegata all’arrivo di un nuovo amore, questa stessa rinascita avrebbe avuto maggiore forza e valore. Così come il film.