Presentato fuori concorso in apertura del Festival di Cannes dell’anno scorso, I fantasmi d’Ismael esce in Italia il 25 aprile.
Diretto da Arnaud Desplechin, che ne è anche co-sceneggiatore, ha tra gli interpreti principali alcuni tra gli attori più noti del cinema francese, come Marion Cotillard, Charlotte Gainsbourg, Mathieu Amalric e Louis Garrel, nonché l’attrice italiana Alba Rohrwacher.
I fantasmi d’Ismael
Si comincia come se fossimo in un film di spie, di quelli in cui gruppi di uomini in giacca e cravatta parlano di un altro, misterioso uomo, lo evocano, ma dapprincipio non si vede. Poi arriva, ed è Louis Garrel (Yvan), insolitamente impacciato, insolitamente buffo e divertente, e a quel punto pensiamo di essere in un film un po’ surreale, lievemente parodistico, che prende in giro i film di spie.
Poi Louis Garrel dice una frase, e la stessa frase viene detta da Mathieu Amalric (Ismael), e allora capiamo che no, era uno scrittore (anche regista) che stava lavorando a creare la sua storia. Poi un signore anziano in preda al panico, nel bel mezzo della notte, lo chiama al telefono (chiama lo scrittore-regista), e lui corre.
E scopriamo che forse siamo in un thriller, perché il signore (László Szabó) è l’(ex-)suocero, padre della (sua) defunta moglie. Che forse tanto defunta non è, perché è solo scomparsa. A margine, annotiamo (mentalmente) che l’anziano signore in questione si chiama Henri Bloom, eco neanche troppo lontano del personaggio principale dell’Ulysses di Joyce (così come il cognome del personaggio “inventato”, Yvan, è Dédalus, come quello dell’alter-ego dello scrittore irlandese in un’altra sua celebre opera, Il Ritratto dell’artista da giovane).
Entra in scena quindi Charlotte Gainsbourg (Sylvia), astrofisica e compagna attuale di Ismael. Veniamo a conoscenza dei particolari del loro incontro tramite flashback narrato in prima persona e realizzato con un tondo nello schermo come fosse un film d’altri tempi. Al che, se mai ci fosse stato un dubbio, intuiamo che si tratta PROPRIO di un film d’autore. I due si sono incontrati in una di quelle feste (da film, più che da vita vera) in cui tutti parlano, bevono, e c’è sempre pure qualcuno che suona al pianoforte, che fa subito gotha artistico-intellettual(oide).
Manco a dirlo, lui (Ismael) è artista tormentato (d’altronde la giovane moglie ventenne è sparita dall’oggi a domani 21 anni prima): lievemente alcolista, fortemente collerico, decisamente trasandato. Flirta pure con tutte le attrici dei suoi film e si aspetta, dalle donne della sua vita, di “venire salvato”, tanto per completare gli stereotipi di genio, sregolatezza ed ego spropositato. La Gainsbourg, razionale, scienziata, piuttosto pudica, con vocazione già sperimentata al sacrificio (tutrice del fratello minore, con forti handicap non meglio precisati) non attende di meglio che buttarsi a capofitto nell’impresa (disperata) della sua redenzione (d’Ismael). E qui siamo portati a pensare che no, alla fine era giusto un drammone romantico.
Poi però arriva la moglie scomparsa, e ha la faccia e il corpo (appena possibile, nudo) di Marion Cotillard. Ma è lei, non è lei, è il fantasma di lei? Per esser sicuro Ismael tocca con mano, fingendo per un attimo – in cui non ci crede neanche lui – di volerle resistere e restare fedele a Sylvie/Gainsbourg: “Non voglio MAI più vivere con te”, pronunciato con tono parecchio risentito, mentre già la sta baciando e abbracciando.
Il tutto preceduto da momenti ambigui tra le due donne, che paiono piacersi, studiarsi e infine (quantomeno da parte della più “razionale” delle due) starsi in discreta e sana antipatia, con qualche screzio subito sedato dal sorriso enigmatico di Cotillard.
Comprendiamo, quindi, che il personaggio del racconto di Ismael, Yvan, in realtà è suo fratello, o meglio la visione che Ismael ha di suo fratello, e allora magari ci vien da pensare fosse un dramma psicologico. O va a finire che Ismael è matto, e sono tutti personaggi della sua testa, proiezioni del suo ego strabordante, e allora non esiste nessuno. Ed è per quello che Ismael, Yvan, un po’ tutti hanno incubi e non riescono a dormire.
I fantasmi d’Ismael – Il trailer
https://www.youtube.com/watch?v=Esy1mJa2LC8
Un labirinto di riferimenti e di fantasmi di film precedenti
Ciò che all’ignaro spettatore appare sempre più come (anche un suo) incubo, e al goduto critico come un sogno ad occhi aperti, è un’opera così fitta di rimandi (da sceglier tra più o meno colti, colti e coltissimi) a generi e film precedenti, che facilmente si arriva a perdercisi dentro.
A tratti viene anche il sospetto che trattasi di virtuosismo fine a se stesso, bulimia di citazioni per buona parte autoreferenziali, che se non si entra in sala con opportuno libretto di istruzioni, difficilmente si possono decifrare.
Certo, fintanto che si “scimmiotta” il genere thriller, la parodia del genere, il genere spy-story, la parodia del genere spy-story, il film nel film e i personaggi che prendono vita mentre l’autore li crea, ci si può arrivare senza bisogno di particolari “aiutini da casa”.
Già quando andiamo su momenti in cui lo sguardo punta dritto in camera (ed è lo sguardo ceruleo di Marion), comprendere il sottile richiamo a Bergman, Godard, foss’anche Allen, inizia a non essere da tutti.
Qualche cinefilo attento potrà senza dubbio notare che il nome della moglie scomparsa è Carlotta, come la protagonista di Vertigo (in italiano, La donna che visse due volte) di Hitchcock.
Ma quando i fantasmi, i “revenant” che infestano i sogni di Ismael (sempre più chiaramente alter-ego di Arnaud Desplechin) iniziano ad essere quelli dei film precedenti del regista, il gioco si fa decisamente più complicato, e pochi riescono a restare in gara.
Carlotta/Cotillard, ad esempio, si mette (letteralmente) a nudo davanti a Ismael/Mathieu Amalric: qui il fantasma che torna è quello del Natale passato, leggi l’equivalente scena di una giovanissima Marion, allora esordiente, che davanti ad un altrettanto più giovane Amalric si spoglia (nel suo unico intervento in quel film) in Comment je me suis disputé…, sempre di Arnaud Desplechin, anno 1996 (e il protagonista del film ha anche lì il cognome dato questa volta a Yvan, Dedalus, preso in prestito da Joyce).
Parti della sottotrama del film nel film, il diplomatico che si trova coinvolto suo malgrado in un intrigo che non comprende affatto (un po’ come gli spettatori normali non comprendono quale sia la vera trama del film), Yvan/ Louis Garrel, richiamano parti del film, sempre di Desplechin, La sentinelle, del 1992, così come il ritorno della prima moglie il ritorno del primo marito in I re e la regina, del 2004 (sempre con il suo attore-feticcio, Mathieu Amalric). E quando Ismael si rifugia a Roubaix, fa quello che fanno i protagonisti di Racconto di Natale e di altri film di Desplechin, che non per caso è originario di quella città.
I fantasmi d’Ismael ad un certo punto appare chiaro siano, in un modo o nell’altro, proiezioni di Ismael stesso, come l’attrice (Alba Rohrwacher), che è sua ex-amante e il viso della sposa (fittizia) del personaggio (fittizio) di Yvan, gli dice chiaramente quando lo lascia (“Tu sei come un cancro, infetti tutti e tutti diventano te […] Tu sei ovunque nei tuoi film). Altrettanto pare siano proiezioni dello stesso Arnaud, personaggi del suo mondo interiore che in qualche modo plasmano e trasfigurano anche le figure reali del mondo esteriore (un po’ come Yvan – personaggio fittizio – finisce per aver lo stesso volto di Yvan – suo fratello reale).
Bilancio finale
Il cortocircuito di rimandi tra dentro e fuori ne I fantasmi d’Ismael finisce per affascinare soltanto chi, appunto, parte già preparato. Munito delle informazioni necessarie per decifrare i complicati richiami alle opere precedenti e ansioso di farlo, o di trovarne di altri. Leggi, cinefili spinti o critici elitari.
Per il resto degli spettatori, rimane un film davvero troppo difficile da seguire, che quasi si fa un vanto, dove potrebbe aiutare a comprendere, di rimanere criptico e “solo per pochi”.
A livello degli attori, non delude Mathieu Amalric che con quella sua vaga somiglianza anche a Polanski e quel suo fare a metà tra lo stralunato e il “clochard” incarna a perfezione il regista tormentato da cliché (purtroppo spesso così anche nella vita vera); Gainsbourg ha, come sempre, quella sua aria un po’ così, stile “mi sono appena svegliata”, stropicciata, cui siamo abituati, e Cotillard può probabilmente aver fatto gioire gli estimatori al pensiero che, dopo 20 anni, riesca ancora a sostenere un nudo frontale senza che nessuno pianga per gli effetti del tempo passato. Vera sorpresa Louis Garrel, che rivela qualità umoristiche insospettate (o, quantomeno, non abituali) e, uscendo fuori per una volta dal personaggio del “bel tenebroso”, fa emergere fino in fondo la sua bravura d’attore a tutto tondo.