Festival del Cinema Africano ovvero “Teza”: cronaca di un appuntamento mancato, o quasi

Forse pochi sanno che in questo periodo, da ormai vent’anni, si svolge a Milano l’unico Festival in Italia del cinema d’Africa, d’Asia e dell’America Latina.

Un evento ricco di iniziative (consigliabile dare un’occhiata al sito): concorsi per cortometraggi e lungometraggi provenienti dal Sud del mondo, laboratori per bambini, mostre fotografiche (quest’anno le immagini sono prese dall’archivio storico Eni), aperitivi e incontri con autori e registi dei film presentati.

I film vengono proiettati in diverse sale cinematografiche di Milano; alcuni incontri speciali sono anche gratuiti, fino ovviamente ad esaurimento posti.

Sfortuna e fortuna, film persi e film recuperati

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Peccato che però il tutto non sembri poi così pubblicizzato.

La sottoscritta, pur essendo iscritta alla newsletter dello SpazioOberdan (una delle sale ospitanti le proiezioni), ne è venuta a conoscenza davvero per caso, navigando senza particolare scopo su internet. Eppure, le scritte “ingresso libero” e “cibo” devono aver attirato, chissà perchè, più milanesi del previsto.

Appena saputo dell’intrigante offerta in programma per ieri venerdì 19 marzo, ho raccattato quaderno, macchina fotografica e qualche appunto, e mi sono recata presso la suddetta sala cinematografica.

La prospettiva era davvero interessante: alle ore 18 avrebbero proiettato il cortometraggio Atlantiques (Atlantici, 2009) di Mati Diop, dopodichè avrei potuto assistere ai 48 minuti di Un Transport en Commun – Saint Louis Blues (Un Trasporto in Comune – Saint Louis Blues, 2009) di Dyana Gaye.

A seguire, l’aperitivo offerto dall’Associazione Naga con assaggi tipici. Insomma, un bel programmino.

Ma appunto la poca informazione circolata al di fuori della città, e soprattutto l’ingresso libero sia alle proiezioni che all’happy hour, mi hanno ahimè svantaggiata e non sono riuscita a farmi abbastanza spazio tra la folla.

Così, con qualche depliant e l’aria afflitta, ho dovuto ripiegare verso casa. Sulla strada, però, mi è balzato in mente il ricordo di un film visto, anche qui per caso, poco tempo fa e che avevo apprezzato non poco: Teza (Rugiada, 2008) del regista etiope Haile Gerima, peraltro nel programma del Festival con Sankofa (1993) per la sezione “20 anni di festival”.

La trama di Teza

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Siamo nel 1991, a due anni dalla caduta del muro di Berlino. Il medico etiope Anberber (Aaron Arefe) torna a casa in Africa dopo vent’anni trascorsi nella Germania sovietica, durante i quali ha militato in un gruppo di studenti comunisti, insieme all’amico Tesfaye (Abiye Tedla). La sua patria, però, è ben diversa da come la televisione gliela mostrava allora: il socialismo a cui lui aderiva ha trasformato l’Etiopia nel repressivo regime marxista di Mengistu Haile Mariam, subentrato all’imperatore Hailè Selassiè.

Anche Anberber è cambiato agli occhi della sua gente: si isola, critica le pratiche religiose tradizionali a cui la madre Tadfe (Takelech Beyene) è invece così devota, ma soprattutto è tormentato da terribili incubi durante la notte. Un dubbio, infatti, lo tormenta fin dal suo rientro: perchè gli manca una gamba? Come l’ha persa? E quando?

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Pian piano riaffiorano i ricordi della gioventù trascorsa in Europa, accompagnano gli ostacoli che la nuova (o vecchia?) realtà africana gli pongono dinanzi, ma si abbracciano anche all’amore vero per Azanu (Teje Tesfahun), la donna dal passato difficile che aiuta Tadfe nelle faccende domestiche. Quei ricordi, tragici e insopportabili, riusciranno infine a rispondere ai suoi turbamenti, e gli restituiranno una (nuova) vita.

Un’Africa che trema come la rugiada

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Questo film, premiato tra l’altro al Festival di Venezia 2008 con il Leone d’Argento, è uno sguardo di amara intensità su di un mondo travagliato, prosciugato, dalle guerre o dai regimi o da chi altro è tanto uguale.

E’ uno sguardo semplice, perchè ti racconta le cose come sono (erano) e basta, non vuole fare morali o ricamarci sopra altre storie.

La densità di sentimento e tragedia che vi si scorge è data proprio da questo, dal fatto che veniamo messi di fronte a ciò che accade e ne siamo inconsciamente turbati.

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Perfino l’ossessione della madre di Anberber per i riti religiosi non ci fa percepire fastidio o noia, ma al contrario fa scattare nella nostra mente un turbinio di ragionamenti ed interpretazioni per avvicinarci ad una cultura diversa dalla nostra, e cercare di comprenderla.

Anberber rappresenta al tempo stesso due mondi, due culture, ossia quella europea e quella africana. La gamba che non ha, che ha perso, è il collegamento tra queste due realtà che ha vissuto in maniera differente; è il legame tra l’intelletto che è cresciuto in Europa e l’anima che ha ereditato dalla sua terra, l’Etiopia.

Solo scontrandosi con la propria gente ritroverà le sue origini, e costruire così un ponte tra i due mondi.

E’ lo stesso regista, che appartiene a quella cultura e l’ha vissuta in maniera se vogliamo simile al protagonista (anche Gerima è emigrato in Occidente per studiare, ndr), a trascinarci in un vortice di pensieri, attraverso una luce calda e tenue così tipica dell’atmosfera africana.

E’ la fotografia di un’Africa nell’immaginario comune.

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Un’ottima alternativa, direi

E’ un peccato, davvero, non essere riuscita a partecipare a questo Festival insolito e affascinante.

Leggendo le trame dei numerosissimi, sconosciutissimi ed introvabilissimi film e video presentati, penso che guardando il più famoso Teza (anche se m’è parso di capire che non è proprio così conosciuto) ci si possa ben fare un’idea di come potrebbe essere il cinema africano, ma anche di altri paesi che troppo spesso non ottengono i dovuti riconoscimenti in questo ambito.

Insomma, anche solo quelle due ore alternative all’evento mi hanno portata a pensare che, a volte, dovremmo lasciare che le storie di guerra e di paesi straziati vengano raccontate da chi quel dramma lo porta da sempre in sè.

Questo è il trailer di Teza di Haile Gerima

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