“A serbian film” è una pellicola disturbante, violenta, eccessiva che, mescolando sangue e deviazioni sessuali come metafora ai soprusi del governo serbo, mette in scena l’orrore di una società compromessa, vittima di un potere che prevarica le volontà individuali.
Di pellicole estreme e “fastidiose” avevamo già parlato su questo sito all’uscita del bellissimo Martyrs e dell’inutile L.A. Zombies
Presentato all’ultimo Cannes tra scandali e malori in sala, il film narra la storia di un ex divo del porno serbo, Milos, in crisi economica con una famiglia da mantenere; dietro la proposta di girare un nuovo film, con un copione misterioso ma con un grosso compenso, Milos accetterà di scendere nell’abisso della morte e nel vortice degli snuff movie.
Srđan Spasojević dirige il film mescolando porno, torture, sadismo cercando di farci “sentire” il malessere sociale del suo paese fin dentro lo stomaco; non sempre però riesce nell’intento, dopo i primi venti minuti in cui il plot stenta a decollare il film vira irrimediabilmente sulla violenza gratuita e degli spunti sociali non rimane che qualche dialogo con il personaggio del regista Vumkir.
Si ritrovano invece i simboli di una politica distruttiva nella messa in scena, nei toni opachi delle scenografie, nelle nere luci, nelle pavimentazioni a scacchi delle stanze delle torture che costringono l’essere umano a giocare l’inutile battaglia per non perdere la propria umanità.
Se il personaggio di Milos è la “vittima delle vittime” consacrate al genocidio, il personaggio di Vumkir diviene veicolo di ossessioni, visioni distorte della realtà, regista di una pazzia sociale che non ammette confini, che vorrebbe riversare sul corpo martoriato la sublime potenza della superiorità.
Peccato che il gioco non regge e del film non rimane altro che un ennesimo esercizio di sadismo ai limiti di ciò che la macchina da presa può filmare; gli spunti narrativi risultavano interessanti, ma si sono persi nel mare del gore e dell’ultraviolenza che ultimamente pervadono i nostri schermi.