Nuove recensioni dei nostri collaboratori Daniele Meloni e Davide Cinfrignini. Questa volta ci parlano, con due punti di vista differenti, di Un giorno della vita un film di Giuseppe Papasso, con Maria Grazia Cucinotta, Alessandro Haber ed Ernesto Mahieux.
Il film
Nella Basilicata del 1964 il dodicenne Salvatore (Matteo Basso) vive la sua spropositata passione per il cinema, che lo porta a percorrere con i suoi amici Caterina e Alessio 5 chilometri in bici per andare a vedere film nel’ unico cinema della zona. Purtroppo questa sua passione non è condivisa dalla sua famiglia, legata a valori molto terreni e poco culturali, e soprattutto dal padre fervente e attivo comunista che vorrebbe per il figlio un futuro nel partito.
Un giorno i tre amici vengono attratti dall’annuncio di vendita di un proiettore e in loro sorge la folle idea di creare un piccolo cinema, ma ovviamente sprovvisti del denaro necessario partoriscono un’idea che li porterà a mettersi ancora di più nei guai.
Daniele: passione ed emozioni
In un periodo che vede il cinema italiano doversi ridimensionare, grazie alla politica dei tagli dell’attuale governo, trovarsi davanti ad un film così pieno di passioni ed emozioni e girato in uno stile così asciutto ed essenziale fà molto piacere, considerando tra l’ altro che si tratta di un’opera prima. Di certo Giuseppe Papasso non è proprio un novizio data la sua grande esperienza a livello documentaristico, ma qui confrontandosi con un altro tipo di lavoro il suo risultato è più che buono.
Ci troviamo infatti davanti ad una storia che assume toni e sfumature da favola: il sogno, la passione che si legge negli occhi del piccolo ed esordiente Matteo Basso (Salvatore) ci riporta ad un cinema di una volta, non legato ai giochi dell’incasso facile, proprio questo il segno da parte del regista di un amore forte per questa arte, che lo porta ad ispirarsi ad un capolavoro come I quattrocento colpi di Francois Truffaut, da cui prende il tema della lotta familiare tra padre e figlio.
Il padre Pietro (Pascal Zullino) che tessera il figlio nel partito comunista e di cui soffoca tutte le idee rivoluzionarie e il prete del paese interpretato da un ottimo Ernesto Mahieux, che attrae il piccolo Salvatore verso il mondo cattolico, ci riportano alle figure di Don Camillo e Peppone di Guarnieri, mentre è chiaro il rimando al Tornatore di Nuovo cinema paradiso o alle terre e ai colori del Salvatores di Io non ho paura.
Maria Grazia Cucinotta interpreta la madre di Salvatore, una figura da cui traspare sempre il grande amore per il figlio e l’umanità della donna in un contesto molto difficile. Quello che dice l’attrice nella conferenza stampa è una bella foto del significato del film: i sogni vanno sempre portati avanti, il bambino all’inizio viene visto come un problema, quasi un peccatore, ma alla fine è lui il vero motore, è lui che fà capire come il cinema possa essere un grande mezzo di sviluppo culturale, ieri come oggi: una cosa che tutti dovrebbero ricordare specie nell’Italia del XXI secolo.
Il film, prodotto da Iris Film, pur uscendo in un periodo in cui i film di Natale ancora la fanno da padroni, uscirà in ben 30 sale romane; una bella sfida per un film piccolo e coraggioso.Chi vincerà questa volta fra Davide e Golia?
Davide: un film già visto
Opera prima di Giuseppe Papasso, narra la semplice storia di un ragazzo dodicenne innamorato del cinema, che per difendere la sua passione è disposto a mettersi contro la sua famiglia e in particolar modo contro suo padre, che osserva con ben poco entusiasmo l’accecante passione del figlio. Il film pur non essendo nè particolarmente originale nè decisamente ispirato, ha l’indubbio pregio di mettere in evidenza le abitudini, le stranezze culturali e gli sconvolgimenti sociali degli abitanti di un piccolo paese italiano della Basilicata degli anni 60 con estrema precisione.
Papasso descrive una società ancora patriarcale, dove le donne stentano a vedere riconosciuti i propri diritti ma che comincia a subire dei piccoli ma significativi cambiamenti e progressi anche grazie all’avvento dei cinema. L’attenzione al realismo storico è sicuramente la caratteristica più positiva del film, che per il resto è pieno di pecche registiche e di sceneggiatura. La debolezza dello script è dovuta ad una storia debole e prevedibile con personaggi che non riescono ad andare oltre ad una prima superficiale presentazione.
Si ha per l’intero svolgimento della pellicola la sensazione di essere davanti ad un prodotto che sa di già visto e dove il pubblico difficilmente riuscirà ad essere coinvolto ed interessato. La trama è semplice ma sarebbe più preciso dire banale e si percepisce una mancanza di profondità di visione da parte degli autori che non riescono a costruire dei percorsi interiori significativi per i loro personaggi.
Pur non essendo un film con buone qualità rischia di risultare anche peggiore di ciò che realmente non sia, visto che il finale è quanto di peggio si possa immaginare dai sviluppi della trama: Papasso chiude indegnamente una pellicola che comunque potrà trovare un sua dimensione nell’ambito del panorama cinematografico italiano.