In un certo senso, l’elogio di Toni Servillo possiamo darlo per assodato: ormai è così platealmente, mostruosamente bravo che non ha senso ripetercelo tutte le volte. Ma bisogna subito dire che Una vita tranquilla, nonostante sia opera dello stesso regista che girò Lezioni di Cioccolato, ha parecchi altri motivi di interesse.
“Una vita tranquilla” ha iniziato a prendere forma parecchio tempo fa, quando il soggetto “Il nemico nell’acqua” (scritto da Filippo Gravino) vinse il Premio Solinas nel 2003. Da quello lo stesso Gravino ha sviluppato la sceneggiatura assieme a Cupellini, che poi si è messo dietro la macchina da presa. Il film racconta la storia di un immigrato in Germania, Rosario (Toni Servillo) che è titolare di un ristorante, e ha messo su famiglia: ha una bella moglie (tedesca), ed un figlio che va a scuola. Una vita tranquilla, appunto, per quanto non particolarmente felice.
Un giorno vengono a fargli visita due ragazzi – Diego ed Edoardo – casertani, abbastanza tamarri, anzi molto tamarri, fin troppo sicuri di se stessi ed anche piuttosto loschi. Sono compaesani di Rosario, che conosce Diego fin da quando era piccolo, e li ospita per qualche giorno; ma non ci vorrà molto a scoprire che i due ragazzi sono in Germania per compiere un crimine, che finirà per coinvolgere anche la vita tranquilla che Rosario si era ricostruito.
Il giudizio
Il film tratta in sostanza un tema classico della tragedia: il passato che ritorna, quando ormai si pensava di esserselo lasciati per sempre alle spalle, dopo una fuga avvenuta da chissà quanti anni e per chissà quale motivo. E per gran parte della durata, la storia è effettivamente molto tranquilla: in apparenza nulla c’è da succedere, né tantomeno nulla di tragico.
Ma l’atmosfera si definisce poco a poco attraverso una serie di dettagli, disturbanti, inquietanti, che preannunciano un lento crescendo verso l’esplosione di una violenza che alla fine sembrerà quasi inevitabile – e per certi versi, addirittura, auspicabile. Nella faccia di Servillo è scritta la stanchezza e la disillusione del suo personaggio – i cui antichi sensi di colpa riaffiorano assieme agli affetti più veri, per minacciare una tranquillità fragile perché costruita su un peccato originale. C’è molto di pirandelliano nel protagonista (nel senso de Il Fu Mattia Pascal), anche se i due scugnizzi – peraltro un po’ più che scugnizzi, a dire il vero – sono altrettanto riusciti. Con loro irrompe nella provincia tedesca l’Italia di Gomorra, e la loro situazione sociale è subito evidente anche senza alcuna esplicita spiegazione. Edoardo è allegro, incosciente e simpatico, si potrebbe dire uno stupido dal cuore d’oro se non fosse per la violenza di cui è capace. Diego è più tormentato, non ride e non fa stupidaggini, e tende (in tutti i sensi) a nascondersi.
L’ambientazione in Germania fa andare inevitabilmente il ricordo alla strage di Duisburg nel 2007, quando 6 italiani vennero assassinati – proprio davanti ad un ristorante italiano – nell’ambito della cosiddetta “Faida di San Luca”. Ecco, nel film il corso degli eventi è diverso, ma il clima è assai simile.
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