Un film, per essere ‘espressione d’arte’, deve necessariamente aver voglia di comunicare qualcosa. Senza ombra di dubbio questo è il caso de La Bugia Bianca, esordio alla regia di Giovanni Virgilio, classe 1983, che decide di produrre in maniera assolutamente indipendente un film fuori dai canoni di un certo cinema tipicamente prodotto eppure, allo stesso tempo, conforme alle regole stilistiche e contenutistiche che abbiamo imparato ad apprezzare da quel cinema invisibile e ambizioso che spesso ha una carica produttiva e di costruzione tematica e di genere più forte e più fresca, seppur con un budget irrisorio rispetto al cinema prodotto dalle case mainstream nostrane.
In occasione del ventennale dalla fine della guerra in Bosnia La bugia bianca giunge per non dimenticare le donne vittime di violenza sessuale e per ricordare che le colpe e i ricordi nascosti dei padri non possono poi ricadere sui figli e sulla nuova generazione, quella generazione in cui troviamo a rispecchiarci grazie al personaggio di Veronika, occhio dello stesso Virgilio prima esterno e poi sempre più addentrato in una dimensione fredda, opaca ed inscatolata, che dovrà tentare di comprendere sempre più sino ad avere il coraggio di affrontarla e prendere una decisione per maturare, crescere ed andare avanti.
Trailer de La bugia bianca:
Intervista a Giovanni Virgilio
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Da dove parte l’idea de “La bugia bianca”?
È un tema che mi sta a cuore da molto prima della nascita del film. Nel realizzare di poter esordire alla regia non ho avuto dubbi su quale tema poter trattare.
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Parlaci dell’impresa produttiva nell’affrontare un lungometraggio.
La parola ‘impresa’ mi sembra calzare qui a pennello, perché produrre un film indipendente è sempre una grande impresa (sorriso). Eppure il cinema non è un lavoro individuale ma di gruppo e fortunatamente il gruppo di persone scelte per affrontare questa ‘impresa’ sono state tutte validissime e abbiamo avuto anche l’onore di avere maestri nel supervisionare alcuni reparti, come Paki Meduri per le scenografie, o la post-produzione come Marco Spoletini. Considerando il bassissimo budget, direi che si possa trattare di un’impresa riuscita.
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Come ti sei approcciato alla regia del tuo lavoro, una volta pronto il copione?
Non ho dormito per tre mesi (sorriso). Studiavo, chiedevo consigli, valutavo. Devo ammettere che è stato molto stancante dal momento che ricoprivo il doppio ruolo di regista e produttore.
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Parlaci della tua giovane interprete: come l’hai scelta e che lavoro avete fatto nel lavoro del personaggio di Veronika.
Parlare di Francesca è come raccontare di un altro film. Anni fa mi dopo aver partecipato in concorso alla 68esima mostra del cinema di venezia mi avevano commissionato un film e ovviamente mi sono ritrovato a fare dei casting. Francesca arrivò dalla Puglia e gli venne dato un monologo di un film importantissimo: ne rimasi subito impressionato dal punto di vista professionale come personale.
Difatti Francesca mi raccontò che faceva la cameriera in un pub e che aveva finito di lavorare alle 3 del mattino per poi prendere il primo treno da Foggia per Roma alle 5 del mattino. Fu forse la sua umiltà e la sua voglia di ‘fare’ che a distanza di 3 anni mi porteranno a contattarla,per non parlare del suo viso che si presta molto ad un cinema Europeo. Costruire il personaggio di Veronika è stato molto complesso anche perché Francesca, anche se molto brava e preparatissima, era alla sua opera prima e Veronika è un personaggio che si evolve nel film, che cresce, cambia, matura.
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Parlaci del lavoro affrontato sulla costruzione delle musiche.
Le musiche sono la parte che prediligo. In tutti i miei lavori prima nascono le musiche e solo dopo nascono le inquadrature. In questo caso è stato fondamentale il mio compositore Giuliano Fondacaro che già, con lasua solita pazienza, ha cominciato a farmi ascoltare delle tracce in fase di scrittura e sulle note della sua musica abbiamo scritto la sceneggiatura per poi successivamente chiudermi in un una casa con le musiche a tutto volume per fare il piano delle inquadrature.
Da non dimenticare la nostra big Erica Mou che ci ha regalato il brano La bugia bianca che ha scritto appositamente per questo film dimostrando tutte le sue grandiose doti artistiche e soprattutto la sua sensibilità verso il tema del film, non ultimi i ragazzi della municipale balcanica che ci hanno donato uno dei loro brani per dare quel ritmo balcanico di cui necessitava una scena del film. Per quanto mi riguarda, senza musiche un film non si può fare.
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Qual è la tua idea di cinema e come pensi possa aderire, se può, nel panorama del cinema italiano contemporaneo?
Il mio cinema è ‘particolare’, quasi sovversivo, a volte vecchio ed altre nuovo. Sono stato sempre un neorealista revisionista, revisionista perché nelle mie storie cerco di raccontare qualcosa di diverso, da un altro punto di vista storico e sociale. Ho sempre pensato che la macchina da presa debba stare al servizio di colui che recita rubandone la parti migliori. In questo caso il coefficiente di difficoltà è molto alto, mi sono assunto dei rischi.
Lavorando spesso in piano sequenza (tecnica che prediligo) ho invertito i movimenti cambiando i piani d’ascolto e per i controcampi mi sono affidato alla scenografia, proiettando spesso i visi sugli specchi. Abbiamo usato pochi esterni, lavorando sugli interni (totalmente ricostruiti) e cercando di creare un gioco di scatole cinesi, un gioco che serve per far capire il climax del film ossia la “bugia” della storia, un segreto nascosto sempre tra le mura domestiche.
In Italia per un giovane non è facile sperimentare o invertire qualcosa perché è un Paese che ha sempre paura di cambiare o di investire sui giovani ma mi son detto che è già difficile fare un film e molti di noi si chiedono se accadrà ancora e quindi mi sono detto: ‘proviamo, buttiamoci, inventiamo’ ed abbiamo rischiato. Da queste tecniche ne è nato un film che sembra tradizionale ma che un occhio più attento potrà trovare innovativo, un film che tratta un tema difficile con molti piani sequenza che si rivela anche molto ritmato per essere un film d’autore che tratta un tema complesso.
Non è nel mio interesse far attecchire il mio cinema ma è nel mio interesse raccontare storie diverse, esprimere cultura, portare lo spettatore a farsi delle domande. Se poi il mio cinema piacerà sarò felice ma l’importante è che i miei piccoli film possano far riflettere e che le nostre produzioni indipendenti creino formazione e innovazione nel panorama contemporaneo.