Arriva in sala da Giovedì 28 Gennaio il nuovo, venticinquesimo, film del regista, attore e sceneggiatore Carlo Verdone che, dopo un incerto e confuso Sotto una buona stella (2014) torna in coppia con Antonio Albanese con una valigetta sospetta e una satira della società odierna in L’abbiamo fatta grossa.
L’abbiamo fatta grossa
Arturo Merlino (Carlo Verdone) è un investigatore privato che vive in un appartamento romano con la zia. Dopo aver accettato il caso di Yuri Pelagatti (Antonio Albanese; Tutto tutto niente niente, L’intrepido), pessimo attore di teatro con un divorzio e una moglie che ama ancora, si ritroverà tra le mani una valigetta contenente un milione di euro. Con tutto quello che questa ‘presenza’ comporterà nelle loro vite.
Trailer del film
Avanti e indietro
L’abbiamo fatta grossa. Mica tanto, verrebbe da aggiungere come sottotitolo. Carlo Verdone torna con il suo nuovo film da regista, uno ogni due anni come sempre nell’ultimo decennio, rinsanando alcune ferite che il precedente aveva lasciato, dove l’unica nota positiva era la brava Paola Cortellesi, laddove Verdone ha sempre saputo raccontare e delineare ruoli femminili (non per nulla, uno dei suoi film migliori, tra quelli non corali, resta forse “Io e mia sorella” con Ornella Muti).
Se in questo film il mondo delle donne è una nota dolente, marginale e macchiettistica, la strana coppia funziona alquanto. Per quanto Verdone ‘osa’, dal momento che esteticamente lui e Albanese si trovano ad essere molto simili, il dittico tra l’ansioso e succube Verdone di sempre e l’approfittatore e perdente Albanese funziona. Anche se nell’aria è percepibile sempre l’idea che non si siano spinti del tutto per far accendere la scintilla tra di loro e donare molto di più di quanto non abbiano fatto.
Tragicomico
Ma è nei particolari, come era successo (anche se in modo molto più distratto e occasionale) nel precedente film, che Verdone si mostra come quel simpatico pischello perdente dei suoi ultimi film: un’inquadratura a precedere con lui che corre in una deserta strada romana, rincorrendo il netturbino che gli ha sottratto la carrozzella dello zio defunto, e il finale poi, mostra la maschera verdoniana in tutta la sua essenza, quella succube di uno stato ed una società che va a mille all’ora e dove un’essenza come la sua, ora di proletario, ora di disoccupato, non trova posto e non è mai riuscita ad adattarsi o inserirsi del tutto.
La ricerca
Nell’aria si respira parzialmente “La banda degli onesti” con Totò e Peppino, si respira una certa commedia che raccontava “I mostri” che ci vivono attorno e in cui spesso, nell’adattarci, finiamo per trasformarci pure noi. È un Verdone che analizza cercando di mantenere la commedia farsesca, con un tiro impreciso e meno sfaccettato di come avveniva anni fa, dove il tragico, il dramma, il verosimile, si mescolava maggiormente con la leggerezza o la farsa vera e propria.
Se anche qui i ruoli sono ben definiti, si sente ogni volta di più il bisogno per Verdone di prendersi una pausa e riflettere su che direzione far prendere al suo cinema, pronto a maturare ma bisognoso di un coraggio che, probabilmente, non è ancora stato trovato del tutto. Quello, cioè, di provare a regalarci un film senza il corpo di Verdone in primo piano o, al contrario, presentandoci la sua maschera, figlia di Sordi e Manfredi, in una nuova forma, reinterpretata senza gli ostacoli dei legami passati che restano, indelebili, ma che proprio per questo è inutile ripetere, pronti ormai da tempo ad avanzare verso una nuova fase del racconto.