E’ in programmazione in questi giorni su Rai Uno, Un matrimonio, fiction in 6 puntate di Pupi Avati. Per l’occasione abbiamo intervistato l’attore e regista Adelmo Togliani, già ospite di questa rubrica e che partecipa alla fiction nel ruolo di Edgardo.
‘Un matrimonio’ di Pupi Avati
La serie tv, prodotta da RaiFiction e Antonio Avati per Duea Film, è ambientata in Emilia Romagna e racconta l’amore lungo cinquant’anni dei due protagonisti dal 1948 ai giorni nostri, tra quegli avvenimenti che nel bene e nel male hanno segnato la storia del nostro Paese. Adelmo Togliani interpreta Edgardo, il cugino della protagonista interpretata da Micaela Ramazzotti e figlio di Katia Ricciarelli. Nel cast del film troviamo anche Christian De Sica, Flavio Parenti, Chiara Ricci, Andrea Roncato ed Ettore Bassi. Questa la programmazione:
- Prima puntata – Rai Uno 29 Dicembre – Prima Serata
- Seconda puntata – Rai Uno 30 Dicembre
- Terza puntata – Rai Uno 5 Gennaio
- Quarta puntata – Rai Uno 12 Gennaio
- Quinta puntata – Rai Uno 13 Gennaio
- Sesta – ed ultima – puntata – Rai Uno 20 Gennaio
L’intervista ad Adelmo Togliani
Ciao Adelmo, bentornato su cinemio. Parliamo del tuo personaggio Edgardo. Ci racconti di lui? Che carattere ha? Quali sono i suoi ideali? E come hai lavorato per costruirlo?
Edgardo è un nerd anni ’50, chiuso e riservato. Quando la serie ha inizio si è appena concluso in Italia il referendum tra monarchia e repubblica, che decreta la vittoria di quest’ultima. Edgardo è un fervente monarchico e non credo per scelta, ma per avere piuttosto una sua dimensione che lo distingua dagli altri, un mondo tutto suo. Per costruire il personaggio ho lavorato sul dialetto romagnolo sin dall’inizio, anche se alcuni colleghi mi avevano sconsigliato di azzardare una simile cosa con Avati. In realtà, sono partito subito così e la cosa gli deve essere piaciuta, tant’è che ogni tanto veniva da me e mi diceva: “Ma lo sai che lo parli proprio bene!”
‘Un matrimonio’ racconta un periodo che va dal 1948 ai giorni nostri e tu interpreti Edgardo dai 20 ai 70 anni. Com’è stato seguire la maturazione del tuo personaggio? E’ stato impegnativo affrontare le ore di trucco che ti hanno invecchiato?
Edgardo si occuperà del bar di famiglia per tutta la vita. Il suo destino è tra quelle mura. Edgardo è una di quelle persone che stenta a mettere il naso fuori casa, se non per raggiungere la cugina al suo matrimonio. Non si sposerà, né avrà mai una donna. Si vocifera che abbia avuto una ragazza, ma sono piuttosto supposizioni… Per il trucco, sul finale della serie, posso dire che si impiegavano dalle due alle tre ore di seduta. Sinceramente il calco del viso, che è la primissima fase della trasformazione, mi ha un po’ spaventato. Era la prima volta, quando ti ricoprono interamente il viso di gesso lasciandoti solo due piccoli forellini sul naso per respirare, non si può dire di provare una bella sensazione. Il grande Rocchetti che si occupava del trucco, mi disse: “Soffri di claustrofobia?” e io di rimando ”C’è qualcosa che dovrei sapere?”, “Ne soffri?”, e candidamente risposi….”No”. E colata di gesso fu.
Parlaci un pò di Pupi Avati. Com’è stato vedere questo regista all’opera? E’ il tipo di regista che permette al cast di sperimentare o aiuta gli attori nelle loro interpretazioni?
Pupi Avati ti mette in soggezione per quanto ti sta addosso. Con lui si torna scuola, e ha ragione quando dice che il professionismo ha creato omologazione. Dopo tanti anni l’attore ripete dei cliché e fatica a ritrovare la propria verità, che come dice Pupi, è una sola. Bisogna tornare indietro e dimenticare le sovrastrutture che l’esperienza e il lavoro hanno creato nella nostra testa. Avati è un regista che ti lascia sperimentare, ma che alla fine ti porta a fare quello che dice lui; con una parola ti resetta e ti riporta al senso delle cose, a quel minimalismo che permea ogni sua opera filmica e che ha fatto di lui un grande maestro.
Anche tu sei regista, cos’hai apprezzato di più di questa impresa di ben 600 minuti?
La cosa che ho apprezzato di più è la coerenza narrativa e la tenuta per tutto l’arco delle sei puntate. Un centinaio di attori orchestrati alla grande, in una storia che non si sfilaccia mai. Un’epopea difficile da gestire anche per un regista navigato, ma che il maestro Avati ha tenuto sotto controllo con grande capacità e per tutta la lavorazione.
Il cast del film è molto ricco e variegato. Come ti sei trovato con il resto dei colleghi? Vuoi raccontarci di quelli di loro con i quali hai lavorato più a stretto contatto?
Benissimo, tanti amici e molte new entry. Tra gli amici posso ricordare gli stessi protagonisti Micaela Ramazzotti e Flavio Parenti, ma anche Chiara Ricci, Katia Ricciarelli, Antonella Ferrari. Tra i nuovi invece vorrei spendere due battute su Alessandro Sperduti, un giovane attore romano di sicuro talento. Nelle varie scene che ci vedevano protagonisti mi sono sentito ‘l’anziano’, l’attore d’esperienza che teneva la scena e aiutava il compagno più giovane. In camerino però, ero il primo a farmi sentire la memoria del copione da Alessandro.
Raccontaci un po’ della fase di lavorazione. Com’era l’aria sul set? C’è qualche aneddoto che ti va di raccontarci?
Avati è in grado ci creare un bel clima sul set. Teso al punto giusto. Ricordo un’atmosfera molto produttiva. Non dimentichiamoci che girare in teatro di posa, nel nostro caso a Cinecittà, permette di raccogliere meglio la concentrazione e di tenere sotto controllo la situazione. Per quello che concerne gli aneddoti, ne ho uno in particolare: una volta finito l’invecchiamento, risultavo davvero irriconoscibile, perciò mi recavo una volta da Katia Ricciarelli, poi da Mariella Valentini, o da Valeria Fabrizi nelle vesti di un fantomatico fan che chiedeva autografi. Con fare discreto mi avvicinavo e vi lascio immaginare i balzi delle suddette vittime dopo una manciata di secondi quando riuscivano a capire chi fossi!
E prima di salutarci parliamo un pò di te. Terminata questa esperienza cosa ti aspetta? C’è un progetto al quale stai già lavorando?
Stiamo producendo con l’Accademia Achille Togliani, che presiedo, lo spettacolo teatrale Più forte del destino con protagonista Antonella Ferrari. Dopo un paio di debutti saremo a maggio 2014 al Teatro Litta di Milano. Subito dopo inizierò le riprese de L’Uomo Volante, un progetto da me diretto che mi sta molto a cuore e che ha ricevuto il sostegno del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali nonché di altri sponsor come Filafi Fithu e Centrale del Latte di Roma. La storia inizia negli anni ’80 e finisce ai giorni nostri. Tratta dell’amore in senso analogico, qualcosa di perduto ma che continua a vivere nell’animo dei protagonisti. Sono un nostalgico e l’amore che ho vissuto in età adolescenziale è spesso al centro delle mie storie, non ultima quella di Achille e Greta, i protagonisti de L’Uomo Volante.
Prima di salutare Adelmo Togliani gli faccio un grande in bocca al lupo per i suoi progetti attuali e futuri sperando di averlo presto ancora ospite di questa rubrica.