E’ uscito lo scorso 17 giugno 6 giorni sulla terra, il film di real-scienza, come lo definisce il regista Varo Venturi, con Massimo Poggio e Laura Glavan. Nell’articolo la recensione del nostro nuovo collaboratore Lucio Di Gianni e un piccolo intervento della giornalista Rai Anna Notariello che ringrazio a nome di tutto lo staff di cinemio.
6 giorni sulla Terra
Partiamo dall’assunto generale: la scienza non ufficiale, rappresentata dal prof. Davide Piso (per ammissione degli stessi autori del film, icona cinematografica del prof. Corrado Malanga, ricercatore presso il Dipartimento di Chimica e Chimica industriale dell’Università di Pisa e fiero oppositore delle teorie e del pensiero della meno nota Margherita Hack), sostiene che da sempre alcune razze di extraterrestri impiantino le proprie personalità nel cervello degli umani: facendone dei «rapiti» (abducted) e cibandosi dell’energia in essi contenuta, l’anima.
Nel particolare, la storia si concentra sul caso di Saturnia, un’avvenente diciottenne che seduce in termini molto umani lo studioso, perché convinta di essere lei stessa un’addotta. A questo punto il film, attraverso una commistione di generi, che vanno dall’horror allo spy-thriller, si incanala verso la salvazione (ma chi potrà mai dirlo?) della fanciulla e dell’umanità tutta.
Messo così, parrebbe trattarsi – tra le citate commistioni – di un film di fantascienza, se lo stesso regista, Varo Venturi, non avvertisse che «l’aranciata (Fanta, ndr) non c’entra nulla» e che qui trattasi di real-scienza. Questa rivelazione (ma non solo!) pone 6 giorni sulla terra su un piano ben diverso rispetto ad altre pellicole del passato (Rosemary’s Babe, 1968 di Roman Polanski; L’Esorcista, 1973 di William Friedkin; Angeli e Demoni, 2009 di Ron Howard… tanto per citarne qualcuno) alle quali pure sembrerebbe strizzare l’occhietto.
Ma anche rispetto ai miti di sempre, primo fra tutti quello di Faust; o ancora rispetto ai capisaldi della storia della filosofia, uno per tutti Platone, che nel film – forse perché è un’espressione alla moda – viene definito «vecchio pedofilo».
Un piano diverso, quindi, anche rispetto a tutte le possibili letture in chiave metaforica: come quella per esempio – ci ricorda la giornalista Rai Anna Notariello – di mcluhaniana e baudrillardiana memoria, che riconosceva nei media un possibile demone usurpatore della nostra mente e della nostra coscienza.
Un piano diverso, forse, anche rispetto al cinema: se non altro perché il cinema, spesso, è verità abilmente nascosta nella fantasia; mentre invece la realtà – chi potrebbe negarlo? – troppe volte è più brutta della fantasia!