#Venezia74: Con la sua opera seconda Foxtrot il regista israeliano Samuel Maoz conferma quello che il suo esordio aveva preannunciato: nel 2009 aveva presentato Lebanon in concorso, vincendo il Leone d’Oro come Miglior Film. E quest’anno di certo, per quello che abbiamo visto sino ad ora almeno, riconferma la possibilità non solo di vincere a Venezia ma di essere uno dei migliori registi europei di questo tempo.
Foxtrot
In Foxtrot la lucidità di direzione di Maoz conferma gli intenti del film precedente esplorandoli in una struttura narrativa costruita su tre atti: il primo in casa, il secondo sul campo ed il terzo (l’epilogo) nuovamente in casa.
Una famiglia viene a sapere della morte del figlio sul campo di battaglia. E ancora una volta, come il carro armato del precedente film, quella casa diventa scatola, prigione delle anime che la vivono, che in qualche modo dentro essa vivranno e rivivranno delle condizioni della propria esistenza e a loro volta condizioneranno ciò che poi porterà alla chiusura sublime del film, summa del discorso che porta avanti Maoz e che decide di approfondire e non tradire.
Il lavoro scenografico è parte integrante (insieme alla fotografia) del voler costruire volutamente una situazione ‘a limite’ tra il reale e il fantastico anche per permettersi, di più rispetto al precedente film, una satira non tanto politica quanto sulla materia che tratta, ovvero il condizionamento che le cose fanno di noi e che quindi facciamo di noi stessi essendo a nostra volta condizionati.
E il discorso di Maoz, seppur forse possa pesare a qualcuno nei suoi 113 minuti, permea la stratificazione apparentemente ermetica e raggiunge chiunque lo segua, percorrendo una strada che la sceneggiatura ferrea non gli permette di tradire, giocando nei dialoghi a sottrazioni e permettendo al regista di regalare forse, durante i primi venti minuti del film, una delle situazioni più verosimili e quanto più (eppure meno) cinematografiche mai viste: scoprire la morte di un figlio da parte di un genitore senza il bisogno di utilizzare una parola eppure dicendo (e comunicando, soprattutto) totalmente quello che dalla sceneggiatura stessa era stato previsto. Di certo uno dei film migliori visti in questo Festival fino ad ora.