#Venezia74: “Non ho mai smesso di essere affascinato dal bene e dal male, dalla possibilità della possessione demoniaca. L’opportunità che ho avuto di assistere a un vero esorcismo è arrivata all’improvviso, 40 anni dopo L’esorcista.”.
The Devil and Father Amorth
Questo il discorso che conduce lo stesso regista William Friedkin, stavolta posto dietro e davanti la macchina da presa per affrontare (quasi) in prima persona uno degli argomenti che gli ha dato maggiore fama e successo in quel lontano 1973, anno di uscita del suo L’esorcista.
Arriva alla Mostra del Cinema di Venezia, fuori concorso, il documentario The Devil and Father Amorth, dove il regista prosegue le domande, le curiosità e le perplessità attorno ad un argomento di cui il suo film è stato cinematograficamente capostipite e che ci ha condotto, ad oltre quarant’anni dalla sua uscita, ad assistere a continue uscite di film e filmacci che millantano la possibilità di raggiungere, eguagliare o superare il sopracitato. Quasi nessuno ha superato quella soglia di forza e ritmo che rende il film di Friedkin, ancora oggi lucido e credibile.
Credibile come il tentativo di parlarne ancora in quello che (pare) essere un vero esorcismo al quale ha assistito, quello di Cristina, una ragazza di Alatri e a Padre Amorth, da poco dipartito, che ha acconsentito a riprendere l’evento. La costruzione che fa Friedkin è molto cinematografica, nel preparare il terreno e far crescere il clima giusto verso un evento che rimane a limite tra reale e falso e gioca le sue carte con le tecniche mockumentary usurpate dal 1999 ad oggi, mantenendosi nella ‘ricerca’, provando a conoscere e sperimentare il mezzo, evolutosi senz’altro nell’arco dei soli ultimi 20 anni.
Questo documentario risulta quindi accattivante e ricco di ritmo e fascino per l’argomento trattato (sempre da un punto di vista laico) e perché, se ci fosse stato qualcun altro dietro quella piccola videocamera non sarebbe uscito di certo così. Invece è stato Friedkin a portare avanti questa piccola idea e il risultato è di certo di alto livello.
Forse però la cosa più importante di questo documentario, oltre alle mille domande sempre aperte sull’argomento, è la voglia di vedere Friedkin nuovamente all’opera, magari proprio nel genere horror. Ricordiamo con gioia il suo ultimo Killer Joe, rinascita cinematografica per Matthew McConaughey.