Nuovo appuntamento con i film in concorso al Sudestival 2017. Oggi parliamo di La stoffa dei sogni di Gianfranco Cabiddu, che per l’occasione ci ha concesso un’intervista. Immancabile anche la recensione dei ragazzi della Giuria dei Giovani.
La stoffa dei sogni
È una tempesta a costituire l’immagine iniziale del film La stoffa dei sogni di Gianfranco Cabiddu e al contempo delinea il filo conduttore dell’intera storia. Naufragati su Asinara, isola carcere, quattro camorristi, capeggiati da Don Vincenzo, si infiltrano nella compagnia teatrale di Oreste Campese e le loro vicende vanno ad intrecciarsi con quelle del direttore della prigione e di sua figlia Miranda. Sergio Rubini, nelle vesti di Oreste, inscena La tempesta di Shakespeare, una commedia che si rivela essere il ritratto in palcoscenico della reale storia d’amore tra Miranda e Ferdinando, figlio di Don Vincenzo.
Dal film emerge la forza dell’amore che lega un figlio al proprio padre, al punto che quest’ultimo è disposto ad andare oltre le proprie convinzioni e donargli la libertà. Don Vincenzo, pronto a morire per Ferdinando, e il direttore, non opponendosi alla fuga dei due amanti, sono esempio tanto di un valore quanto dell’altro. Punti di forza del film sono la bravura degli attori e la loro varietà: non appartengono a una stessa cerchia ma a generi ed esperienze differenti. L’originalità dei personaggi, infatti, rende l’atmosfera irreale e quasi magica, centrando quello che è l’obiettivo del teatro: far immaginare qualcosa che non esiste, rendere possibile ciò che è impossibile, creare una nuova realtà, impalpabile, come la stoffa di cui sono fatti i sogni.
Rossella Sampietro e Alessandra Longo IV A Liceo Scientifico “Galileo Galilei” di Monopoli
Intervista a Gianfranco Cabiddu
Ciao Gianfranco, benvenuto su cinemio. Il soggetto de La stoffa dei sogni, tuo come la sceneggiatura, è molto originale anche se in parte ispirata a La tempesta di Shakespeare.Ci racconti come sei arrivato al film?
Partecipai alla registrazione della Tempesta di Shakespeare che il grande drammaturgo aveva tradotto in napoletano, nella quale recitava tutti i personaggi. Con Eduardo de Filippo incidevo e montavo. È stato un lavoro lungo e complesso perché riusciva a leggere solo poche pagine al giorno, affaticando esageratamente la voce, dato che la cambiava per ogni personaggio. Così questo nastro è stato portato nei palcoscenici italiani con la compagnia di marionette dei Colla, le quali si muovevano sulla voce di Eduardo e sulle musiche di Antonio Sinagra.
Il testo della Tempesta che ho molto amato, grazie a questo lavoro lungo con Eduardo mi è come entrato sottopelle in ogni suo aspetto. L’idea di farci un film mi è venuta in mente 30 anni dopo quando sono venuto a sapere della chiusura del carcere dell’Asinara. Per prima cosa vi ho fatto un’escursione, e subito mi è apparsa come l’isola di Prospero, dove ci sono gli animali selvaggi; infatti, l’essere stata una terra, per tanti anni “separata” dal mondo ha dato la possibilità di esistere a una fauna particolare, un mondo incantato.
Il film è stato girato a L’Asinara da te fortemente voluta. Come sono andate le riprese e quanto la location ha influito sul film?
Dentro di me ho immaginato che un mio lavoro sulla Tempesta non poteva prescindere dall’isola dell’Asinara, arrivando a convincermi come anche Shakespeare pensando a quel luogo così speciale in una rotta che da Tunisi va a Napoli, escludendo la Sicilia a quei tempi assai evoluta, forse, avesse pensato all’isola di Prospero identificandola con la Sardegna.
E la storia carceraria dell’Asinara mi ha dato la possibilità di riflettere anche sulla sardità. Il personaggio di Calibano che, nella Tempesta è il re spodestato da Prospero, risponde al suo rivale come lo farebbe un sardo mentre riflette sui rapporti con l’Italia: l’isola era la mia, io ero un re, voi mi avete reso schiavo, l’unica cosa che ho imparato è una lingua che, però, non è la mia lingua, in tale modo ti posso maledire in un idioma capito da entrambi. Quindi c’è una considerazione sulla lingua, sulla colonizzazione. Calibano comprende molto di sé assistendo allo spettacolo, usando la cultura per riscattarsi, un po’ mettendo in pratica ciò che Gramsci diceva, ovvero, studiamo molto proprio per affrontare chi vuole dominarci.
Tra l’altro Livia Borgognoni, scenografa del film e vincitrice del premio Ferretti al BIF&ST 2016 per il tuo film ha sottolineato le difficoltà di girare in un’isola. Quali sono state le difficoltà maggiori?
Nell’isola non ci sono alberghi o ristoranti: niente delle comodità a cui siamo abituati. Abbiamo quindi abitato nelle case che una volta erano dei secondini, nelle stanze della direzione del carcere trasformate in foresteria, ecc. Grazie alla Conservatoria delle coste e al Parco, abbiamo realizzato un qualcosa di pionieristico. Così abbiamo potuto dormire nelle case dell’Asinara e, rimanendo la sera gli unici abitanti dell’isola, si creava una condivisione gioiosa, che prevedeva di cenare insieme, come fossimo in un piccolissimo paese. Questo ha creato una coesione importante, visto che avevo nel cast attori di cinema e di teatro molto differenti, con esperienze diverse. Quindi tutte le altre difficoltà, come far arrivare le forniture tecniche, i giornalieri, ecc. sono state superate con gioia.
Ci sono aneddoti che ti va di raccontare sulla fase delle riprese?
Per la scena iniziale della tempesta, che volevo di impatto realistico, ci siamo scontrati con il budget del film che scarseggiava per una scena molto impegnativa. Dovevamo di rigore trovare una cabina di nave: in un primo momento avremmo dovuto trasferirci con tutta la troupe o su una vera nave o andare a ricostruire una cabina di nave negli studi di Roma, così aguzzando l’ingegno e non volendoci staccare dall’isola abbiamo trovato la porta di un vecchio frigorifero, poi Livia ha ricostruito intorno la cabina del postale e l’operatore con una duci-head ha mosso la macchina a simulare le onde del mare: una soluzione di fantasia, molto cinema italiano, che rispetta la linea di estetica povera della vicenda narrata e il sapore artigianale del film.
Protagonisti del film sono, tra gli altri, Ennio Fantastichini e Sergio Rubini: come li hai scelti e come hai lavorato con loro per la costruzione dei personaggi?
Anche in questo senso, abbiamo avuto un regalo dall’isola. Attori con background così differenti si sono intonati alla perfezione, grazie al testo e grazie all’atmosfera dell’isola, che ha smussato ogni differenza: in fondo nella vita reale vivevamo la stessa esperienza di isolamento dei personaggi raccontati nel film. E questo ha portato ad una semplicità ed ad una concentrazione che fanno della recitazione, come del testo, uno dei punti di forza del film.
Assai interessante, tra gli altri interpreti, la storia di Alba Gaia Bellugi, una ragazzina francese che aveva appena compiuto 18 anni, figlia di un attore italiano che andò a lavorare in Francia per la compagnia di Ariane Mnouchkine e ne sposò la costumista. Già da bambina fece l’attrice con la grande regista francese di teatro, ha lavorato in tanti film, compreso nel successo internazionale Quasi amici e anche con Francois Ozon. Parla italiano e ha portato una ventata di innocenza, di semplicità nel film e nel cast, di cui è diventata la mascotte, cosi adatta a un personaggio capace di innamorarsi improvvisamente.. di un camorrista!
Tra tutti gli attori, da Sergio Rubini a Ennio Fantastichini a Renato Carpentieri fino a Teresa Saponangelo e i ragazzi Francesco di Leva e Ciro Petrone, tutti bravissimi; vorrei ricordare in primis Luca De Filippo, che ci ha lasciato poco più di un anno fa. Il film nei titoli di coda è dedicato ad Eduardo, ora lo sento idealmente dedicato anche a Luca. Con Luca ci conoscevamo da tanto tempo, era un rapporto di grande amicizia fraterna. L’ho seguito anche in diversi spettacoli. Gli avevo raccontato il soggetto del film e non ha avuto problemi a darmi i diritti di quella vecchia Tempesta registrata con suo padre molti anni prima. Ho voluto in tutti i modi che fosse ne La stoffa dei sogni, il cameo del capitano della nave, è stato scritto per lui: una sorta di saluto affettuoso al teatro all’antica italiana.
Per concludere, La stoffa dei sogni è stato proiettato lo scorso venerdì al Sudestival. Vuoi raccontarci le impressioni che hai avuto?
Un festival “caloroso” che ti fà sentire subito a casa, unico per umanità e per gentilezza; organizzato impeccabilmente, con tantissimo pubblico giovane, una perla che dimostra che anche in concomitanza con Sanremo c’è gente che si gusta il cinema… Grazie Monopoli e grazie Puglia!
E noi ringraziamo di cuore Gianfranco Cabiddu per la sua disponibilità.
Si tratta di un film di grande impatto emotivo. Bravissimi gli attori. Deus ex machina: è il direttore De Caro che, dall’alto della terrazza osserva in silenzio ciò che accade di fronte a lui per poi agire di conseguenza e ricondurre tutti nel proprio ruolo d’origine. Ottimo è Sergio Rubini, nelle vesti del capocomico e ottimi sono tutti gli altri attori, che rappresentano con gesti e parole semplici, il loro personaggio. Paesaggi incontaminati fanno da cornice e da sfondo alle varie inquadrature, mentre gli animali che si incontrano, con grande sorpresa assumono un che di magico…..
Grazie mille Patrizia siamo contenti tu abbia apprezzato il film! 🙂