“E’ il dolore che ci fa diventare matti o è il fatto che siamo matti che ci fa sentire più dolore”? Un ospedale psichiatrico abitato da pazienti con disturbi mentali, regolamentati da una ferrea disciplina, viene rivoluzionato da un Jack Nicholson trascinatore di folle che si finge pazzo per evitare la galera.
Ai medici l’ardua impresa di indagare sulla natura delle sue dichiarazioni. Alienati all’interno di un’istituzione totale che non lascia vie di fuga, gli internati, pur rimanendo fra le mura, si dileguano in un cosmo gremito di leggerezza e autonomia. Ogni personaggio, emotivamente trainato dall’euforia di un nuovo vissuto, si amalgama al resto del gruppo rivoluzionando le direttive dell’istituto.
Il tutto si consuma in tarda notte nei corridoi dell’ospedale. Tra gite in barca, prostitute, partite di baseball immaginarie e discorsi normalizzanti sulla pazzia, si logorerà l’equilibrio stabilito con fatica. Barriere disumane che ostacolano la naturale evoluzione dell’uomo, attacchi all’integrità fisica e psicologica degli internati, regime dittatoriale mascherato da istituzione curativa.
Elettroshock e lobotomia renderanno la condizione degli internati ancora più tragica. Alcuni reagiranno negativamente ai cambiamenti, ledendo se stessi e gli altri in un intreccio di situazioni dall’epilogo a mio parere straziante ma assolutamente imprevedibile.
Il finale si insinua nell’apparente normalità: ci colpisce, ci invade e ci abbandona indebolendo le nostre difese immunitarie. Non a caso è risultato vincitore di cinque premi oscar. Per godere appieno del dramma da manicomio, è necessario lasciarsi trascinare dalla rassegnazione che trapela dalle scene finali. Sconfitta raccontata attraverso immagini intense, e comportamenti non prevedibili che incollano lo spettatore alla sedia anche dopo la fine del film.
Jack Nicholson
Antisociale, irrequieto e spavaldo. Il ruolo di Jack Nicholson non poteva che essere questo. Randle Patrick Martin (il suo nome nel film) rifiuta le convenzioni, gli ordini dall’alto, e la struttura totalitaria nella quale si trova. Il suo è un volto anticonformista che disdegna tanto le normative ferree vigenti in ospedale quanto la guarigione imposta dai medicinali. Per lui governare la personalità con cure alienanti non è risolutivo.
Il soggiorno all’interno dell’istituto, rende la permanenza degli internati piacevole al punto da condurre anche loro ad opporsi alle istituzioni. Le vere cure diventano l’autodeterminazione e sorriso che consentono di assaporare gioie non oscurate dallo stordimento farmacologico. La trama lavorata nei particolari, rende malleabile il processo empatico. Ogni personaggio ha libero accesso nella nostra sfera personale e finiremo per appassionarci ad ognuno di loro.
Interpretazione del titolo
Capolavoro dettagliato che traduce fedelmente il simbolismo del titolo: “qualcuno volò sul nido del cuculo”. Letteralmente, il termine inglese “cuckoo”, significa pazzo, quindi la frase si tradurrebbe cosi: “qualcuno diventò pazzo”. In realtà, la traduzione potrebbe non essere così letterale. Metaforicamente le interpretazioni potrebbero mutare in relazione alla nostra facoltà di individuare un senso diverso da quello che è.
Il cuculo è un uccello che non depone le sue uova in un solo nido, ma le deposita nei nidi degli altri uccelli che le covano al suo posto. A mio parere, il cuculo è la rigida infermiera, che non cova i suoi uccelli/pazienti con calore affettivo, ma li abbandona al loro destino preservando la natura dell’istituzione, ma non la cura degli stessi. Aggiungendo un ulteriore interpretazione al titolo, quel “qualcuno”, potrebbe proprio essere Jack Nicholson, che approdando nell’isola infelice, la turba, rimanendone vittima. Perchè li chiamiamo pazzi? Perchè sono diversi da un modello scientificamente categorizzato in una specie perfetta?
“Quel che non ci tocca non ci riguarda” a volte capita di pensare, e buttiamo l’empatia nel WC. Non bisogna essere laureati in psicologia per capire che la loro sopravvivenza nel mondo reale è devastata da sofferenze differenti dalle nostre e cicatrizzate nel profondo. E’ innanzitutto il termine glaciale di pazzo a rendere il sognificato disumanizzato. Standardizziamo tutti all’interno di categorie predefinite. E l’empatia? Siamo tutti diversi l’uno dall’altro perchè ognuno manifesta diversamente la propria complessità. Questo film ci renderà empatici al 100 % (almeno fino alla fine poi ognuno tornerà alla realtà).
Curiosità
Il film è tratto dal romanzo di Ken Kesey del 1962. Il regista per enfatizzare le tematiche e rendere più realistica l’interpretazione dei personaggi, si è servito di un vero ospedale psichiatrico dove gli attori hanno preso parte alle sedute di psicoterapia dei pazienti.
Alcune scene del film sono state riprese dai Simpson e Dr. House- Medical Division.
Sammyyyy….Fantasticaaaaaaaa!!!….<3
Complimentissimi a Samu , grande, recensione eccellente!!!!!
Questo è il mio piccolo grande genio.
Una dialettica che colpisce , incuriosisce e pur essendo un film di vecchia data, convince il lettore ad andarlo a vedere.
Hai acceso la mia curiosità e memoria , dal tuo articolo ho ricordato la famosa Legge 180 del dott. Basaglia e in riferimento a questo emerito studioso cito un Suo pensiero “Dal momento in cui oltrepassa il muro dell’internamento, il malato entra in una nuova dimensione di vuoto emozionale, viene immesso, cioè, in uno spazio che, originariamente nato per renderlo inoffensivo ed insieme curarlo, appare in pratica come un luogo paradossalmente costruito per il completo annientamento della sua individualità, come luogo della sua totale oggettivazione. ” Complimenti.
Sulle note scandite dal pensiero di Basaglia, ti dico che la prossima recensione riguarderà proprio lui e la lotta antistituzionale a favore dell’abolizione dei manicomi. Guarda il caso.
Samuela, complimenti per l’articolo, io il film non l’ ho visto ma ne ho sentito parlare e ne conosco la trama… la tua recensione mi fa molto piacere perchè anch’io nell’articolo sull’ultimo film di Scorsese Shutter Island avevo accennato all’argomento del disagio mentale!
Certo il mio era solo un accenno, ma vedo che tu sei molto più informata di me quindi ti seguirò sicuramente.
adescata da deformazione professionale 🙂
critica costruttiva e antidogmatica.
armonico lo slancio analitico catalizzato da visione del film e recensione.
” … un principio fondamentale condiviso da quanti di noi esercitano la psichiatria dinamica è il nostro essere sostanzialmente più simili ai nostri pazienti che diversi da loro. I meccanismi psicologici attivi negli stati patologici sono delle mere estensioni dei principi coinvolti nel normale funzionamento evolutivo. Medico e paziente sono entrambi esseri viventi … ”
Gabbard G.O., Psichiatria Psicodinamica.
buona metacomunicazione, cinemio.
Samu i miei complimenti..
Recensione ad hoc..
Non ho ancora visto il film ma le tue parole creano un’immedesimazione istantanea nel contesto e nei personaggi stessi… Usate senza peso con una linearità e semplicità di espressione che nn avrei immaginato..
In bocca al lupo!
Coraggioso esordio. Se labili sono le frontiere fra normalità e pazzia, nettissime appaiono quelle tra chi esercita il potere e chi invece lo subisce. La violenza è giustificabile e giustificata solo se utilizzata dalle istituzioni. E come fuga dalla rassegnazione non resta che l’ironia, l’arte del capovolgimento, la dissacrazione del lindo ordine. Il volto di Nicholson è una maschera perfetta, irriverente e disarmonico. Il finale è volutamente interessante: a vincere, fuggendo e donando al compagno una morte dignitosa, è il nativo americano. Grazie per questo sorvolo, Samuela.
Complimenti per l’articolo