Quando gli occhi sono lo specchio dell’anima: lo scafandro e la farfalla

Jean-Dominique Bauby (Mathieu Almaric) è il caporedattore di Elle. Conduce una vita lussuosa, in balia del divertimento, donne e soldi, fino a quando,nel 1995 un malore lo colpisce mentre è in auto con uno dei suoi figli. Sindrome “locked-in”. E’ questa la diagnosi. In pratica lui è fisicamente presente e vigile disteso su un corpo completamente paralizzato.

Cervello e sistema nervoso centrale non sono più in contatto tra loro. Dopo il risveglio dal coma la realtà è crudele e impossibile da digerire. Il suo occhio sinistro, l’unico superstite della malattia, gli consente di comunicare con il mondo esterno, dicendo sì battendo una volta le ciglia e dicendo no, battendole due volte.

Il suo corpo è immobile ma sua mente no. E’ una storia vera. E’ la storia di un uomo che con il battito delle ciglia ha trovato la forza di raccontare la sua storia, un battito per ogni lettera dell’alfabeto francese. Trasmissione dei suoi pensieri che per fortuna non erano paralizzati e immobili. Urla interpretate da un traduttore, grida empaticamente assistite. Quando si dice che gli occhi sono lo specchio dell’anima. Morirà dieci giorni dopo la pubblicazione del suo libro.

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Prigioniero dilaniato all’interno di un universo paralizzato (scafandro), riesce a scovare la volontà nei meandri dei suoi pensieri più nascosti, liberando la realtà edificata di immaginazione (farfalla) e di pensieri ormai lontani. Immagini sfocate rendono la comprensione dello stato del paziente realistiche.

Durante il film comprendiamo che anche se è morto fisicamente, è vivo almeno mentalmente, ma alla fine del film, ho rivalutato la sua vita immaginaria. Nonostante gli sforzi, le inquadrature, i trucchetti cinematografici, la realtà è impossibile da comprendere.

Riflessive le inquadrature iniziali concernenti la sua visione del mondo. Sguardo monoculare sofferente e offuscato. Film amaro, commuovente, che alterna lunghe sequenze riempite dai monologhi del protagonista e flashback di una vita lussuriosa.

Lo spettatore vede attraverso il suo occhio sinistro. La sua prolissa meditazione lo conduce ad una cristallina consapevolezza: una vita passata priva di legami autentici. Da quel momento concepisce la malattia come una cognizione di saggezza della condizione umana.

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