Brillante esordio alla regia dell’attrice e sceneggiatrice Greta Gerwig, Lady Bird, nei cinema italiani dal 1° marzo, è una piacevole ed intelligente commedia incentrata sull’ultimo anno di High School della protagonista, visto come momento di passaggio dall’adolescenza all’età adulta, come un viaggio che la porta dal rifiutare la sua identità e colei che gliel’ha data, la madre, a finalmente arrivare a comprenderla e riconoscerla. La Gerwig, nota in particolare per le sue collaborazioni in produzioni mumblecore (film indipendenti, generalmente a basso budget, spesso con attori non-professionisti, caratterizzati da forte realismo), grazie a questo film si è già aggiudicata un Golden Globe e ben 5 nomination agli Oscar (tra cui Miglior Film, Miglior Regia e Miglior Sceneggiatura Originale).
Lady Bird
Siamo nel 2002, con l’attacco alle Torri Gemelle ancora fresco nelle menti delle persone, con la preparazione alla guerra in Iraq che si intuisce dalle frasi che risuonano in sottofondo dalla televisione, con una crisi economica che inizia a falciare vittime nella classe media, tra cui il padre della protagonista, lasciato a casa dall’oggi al domani dal lavoro e attualmente in depressione.
Nello sfondo, la Sacramento città natale della stessa regista, che inserisce in Lady Bird una manciata sparsa di riferimenti autobiografici, tra cui la mamma infermiera, la scuola cattolica e probabilmente una buona dose di autoironia sulle proprie aspirazioni artistiche e culturali.
L’azione si svolge nell’arco dell’ultimo anno scolastico, e, come in un tipico film adolescenziale americano che si rispetti, vi si trovano tutti gli elementi classici del genere: dai problemi coi professori, alla migliore amica intelligente, ma emarginata e bruttina, ad un certo punto soppiantata da quella più popolare, ricca e carina, anche se inevitabilmente più vuota.
Dai primi amori timidi ed impacciati, che restano innocenti (il biondino che la rispetta troppo per “toccarle le tette”, nonostante l’esplicita autorizzazione di Lady Bird (Saoirse Ronan) a farlo – e si scoprirà in seguito come mai) all’immancabile bello-e-dannato (Timothée Chalamet), tappa d’obbligo per una formazione amorosa degna di questo nome, inevitabilmente meno “rispettoso” (ed altrettanto deludente del precedente).
Dai battibecchi con il fratello (favolosa presenza che sbuca fuori alla cassa del supermercato, a casa a colazione, all’appuntamento di lavoro del padre, spesso affiancato dalla fidanzata-clone con cui è un tutt’uno) ai duelli verbali all’ultimo colpo con la madre, (“Voglio solo che tu sia la migliore versione di te che tu possa essere” “E se fosse già questa, la migliore versione di me?”; “Mamma, vorrei piacerti” “Ma è ovvio che ti voglio bene” “Sì, ma ti piaccio?”). Passando per alcuni momenti toccanti con il padre che, per quanto tendenzialmente apatico, riesce a tratti a supportare la figlia, e ad aiutarla a comprendere quel lato sensibile che la madre (Laurie Metcalf) tenta disperatamente di nasconderle.
Il tema del viaggio che apre e chiude Lady Bird
Lady Bird inizia come un road-movie, con figlia e madre prima in un motel e poi in auto, in strada verso Sacramento, intente ad ascoltare l’audiolibro di Furore di Steinbeck, che non a caso parla di un’altra migrazione forzata verso la California di una famiglia provata dalle difficoltà economiche e dalla spietatezza delle banche. L’istante dopo essersi commosse insieme per la narrazione, iniziano a litigare per un motivo futile (poter o meno ascoltare la musica alla radio), e trascendono velocemente finché la ragazza non si butta repentinamente dalla macchina in corsa, lasciando basita la madre a gridare per lo spavento.
Una prima scena che suggerisce il tono di tutto il film, incentrato sul personaggio di questa adolescente fuori dalle righe, non solo per i capelli rosa stinti, lei allieva di una rigorosa scuola cattolica. Autobattezzatasi Lady Bird, probabilmente per evidenziare quella sua voglia sconfinata di volare via dal soffocante nido materno, di andare oltre la strada che la madre le ha già perfettamente tracciato, ha come contraltare Marion, la madre-chioccia, che non può più neanche immaginarsi di volare, schiacciata dal peso delle responsabilità di essere la sola rimasta in famiglia a portare a casa pane e companatico. Terrorizzata all’idea di perdere la figlia, al pensiero che, dall’alto dei suoi voli pindarici, possa cadere e sfracellarsi al suolo, come forse è accaduto a lei.
Sua madre, dice Lady Bird, è sempre arrabbiata. Forse anche per il fatto che lei ha smesso di farsi chiamare Christine, il nome che lei le aveva dato, e ha deciso di darsene uno tutto suo, dal vago sapore rinascimentale, a simboleggiare il suo voler rinascere autodeterminandosi.
Christine – Lady Bird, meravigliosamente interpretata da Saoirse Ronan, vive vorticosamente ogni tappa di questo suo anno di passaggio all’età adulta, con l’impeto di chi vuole gettarsi senza rete nella vita – così come, in principio, si getta impetuosamente fuori dalla macchina in corsa.
A chiudere il cerchio, alla fine del percorso e dell’anno scolastico, Lady Bird riesce a volare concretamente via – da Sacramento verso New York (“dove c’è la cultura!”, affermava a inizio film, alla madre che causticamente replicava “cos’ho fatto per crescere una figlia così snob?”). La “formazione” è conclusa, ha imboccato la sua strada, è riuscita nel frattempo a comprendere meglio se stessa e sua madre: può tornare ad essere semplicemente Christine.
Bilancio Finale
Ciò che rende Lady Bird quel gioiellino di grazia ed arguzia che è lo si deve indubbiamente alla capacità di scrittura della Gerwig, il cui humor irriverente si rispecchia perfettamente nel personaggio di Christine – Lady Bird (memorabile la scena in cui sgranocchia ostie non consacrate come fossero chips con l’amica del cuore mentre chiacchierano del momento giusto per perdere la verginità). I suoi tocchi di realismo rendono credibili quelli che altrimenti potrebbero restare meri stereotipi, ed emergono nei dialoghi, negli accenni alla crisi, al clima post 9/11. Nelle battute messe in bocca a Timothée Chalamet, il fidanzato bello-e-dannato, che accenna a teorie complottistiche, legge il libro-bibbia di chi le sostiene, “A People’s History of the United States” (citato anche da Matt Damon in “Will Hunting, genio ribelle”) ed afferma che il telefonino controllerà le vite delle persone, in un periodo ancora felicemente pre-social media. Nella cura dei particolari, anche a livello musicale. E in quella maestria del sapere trattare tematiche anche emozionanti, come il conflitto madre-figlia, mantenendo un tono lieve, delicato, sussurrato, quasi. Brava.
Grazie di cuore..
Grazie a te, Tanya!