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Come un canto di sirena: il fascino sinuoso di Phantom Thread – Il Filo Nascosto, di Paul Thomas Anderson

Esce il 22 febbraio nelle sale italiane il nuovo film firmato Paul Thomas Anderson, regista di Magnolia (1999), There Will Be Blood (“Il Petroliere”, 2007), The Master (2012). Con le sue atmosfere ovattate ed eleganti, la suggestione quasi ipnotica che emana dai personaggi, il dipanarsi della trama che, come i vestiti creati dal protagonista, racchiude tra le sue pieghe messaggi nascosti e sorprendenti risvolti, Phantom Thread – Il Filo Nascosto incanta, soggioga e strega lo spettatore, provocandogli l’insaziabile desiderio di “averne di più”. E offrendo a Daniel Day-Lewis la splendida occasione di lasciarci con un canto del cigno memorabile – essendo questa, a quanto ha dichiarato, l’ultima volta in cui reciterà in un film.

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Phantom Thread (Il Filo Nascosto) – locandina

Phantom Thread – Il filo nascosto

Ambientato nella Londra anni ’50, Il Filo Nascosto ci fa entrare nella casa-atelier-tempio del rinomato couturier Reynolds Woodcock (Daniel Day-Lewis), che veste il gotha dell’epoca fino ad includere le altezze reali. Schiavo di un Edipo che avrebbe fatto piangere di gioia Freud, Woodcock vive solo con Cyril, la sorella-governante/manager-ancella, un’incredibile Lesley Manville, cui si devono buona parte delle imprevedibili ed inaspettate battute al vetriolo che strappano il sorriso (e spesso la risata) della sala. Woodcock è un perfezionista, ossessionato dal lavoro, ossessivo nel mantenimento dei suoi rituali e delle sue serie di azioni ripetitive tanto da dare l’impressione che il tempo si sia in qualche modo fermato nella sua casa-santuario – lui stesso afferma ad un certo punto che vi si respiri un’aria di morte.

Evidentemente scapolo, colleziona compagne che porta in casa per usarle come modelle per poi, una volta stancatosi, farle scaricare dalla premurosa sorella senza alzare gli occhi dal suo onnipresente block-notes dove schizza perennemente nuovi abiti. Interrompe questo schema da novello Barbablù (pur se più simile, in finale, alla versione di Amélie Nothomb) una maldestra ed apparentemente ingenua cameriera. Woodcock la incontra in un hotel di campagna dove ordina una pantagruelica colazione e immediatamente la invita a cena, con prova-abito e prendi-misure finale. La tenera fanciulla dalle gote rosee, Alma (Vicky Krieps) si rivela ben più tosta di quanto si osasse immaginare o sperare. Riesce, infatti, a “spezzare la maledizione” ed il ripetersi infinito dello schema, ritagliandosi il posto prima tra fratello e sorella, poi sempre maggiormente nella vita di Woodcock.

Non mancano elementi fiabeschi, gite nei boschi, preparazioni di “filtri d’amore” alquanto originali e ribaltamenti inaspettati. Il tutto impreziosito da quei dettagli che rendono unici gli abiti – ed i film, mantenendo Anderson tra i due artefatti un forte parallelo – quali citazioni di grandi classici, da Kubrick (la scena di loro due in auto che riprende la corsa di Arancia Meccanica) a Hitchcock (Rebecca, la prima moglie).

Il filo nascosto – il trailer

Il canto suadente delle Sirene

Il fascino e l’ambiguità di Il Filo Nascosto è dato dai molteplici livelli via via rivelati, da una sorta di stratificazione che mostra, man mano che si svela, altre possibili interpretazioni, al punto da far provare il desiderio di rivederlo per scoprirne di ulteriori.

L’apparente rapporto disfunzionale iniziale tra il genio e la povera fanciulla usata e gettata una volta esaurita la sua funzione (in questo caso, quasi esclusivamente di musa) si ribalta quando la fanciulla in questione inverte il rapporto di potere fino a sfiorare il sadismo. Ma non di solo potere si tratta. Gli accenni all’insaziabile appetito del protagonista, il fiutare della sorella la nuova preda (quando Alma è nella casa di campagna di Woodcock e arriva Cyril, le si avvicina letteralmente annusandola come farebbe un cane) rimandano ad una natura di predatore che poi, però, diventa progressivamente sempre più volontariamente vittima designata. Ma non di sola “caccia” si tratta.

Il Filo Nascosto

Il Filo Nascosto – i tre protagonisti a cena

C’è un aspetto spettrale, esasperato dalla fisicità di Daniel Day-Lewis, da quel suo incedere elegante e silenzioso, da quella cura decadente verso la propria persona, che lo porta ad assomigliare a personaggi da romanzo gotico, a conti Dracula alla Gary Oldman, che si aggirano in una spettrale casa-mausoleo seguiti dal fedele servitore-ombra (in questo caso, la sorella).

C’è l’aspetto della maledizione, il dettaglio morboso dell’essersi cucito e del portare sempre a fianco al cuore una ciocca di capelli della madre morta (giovane, e che riappare, fantasma nel delirio di un Woodcock atterrato ed indebolito, vestita di quell’abito da sposa che era stata la sua prima creazione).

Il Filo Nascosto

Il Filo Nascosto – Woodcock che veste Alma

C’è l’attenzione al cibo, dalla prima volta in cui incontra Alma e pretende ricordi a memoria tutto ciò che lui desidera (vera prova d’amore preventiva), al fastidio che prova quando lei osa cambiare anche un minimo dettaglio, vedi usare il burro o versare il thè troppo rumorosamente; all’appropriarsi infine del cibo da parte di lei, che lo utilizza prima per fargli dispetto e poi per sottometterlo e renderlo più fragile (quindi, più apparentemente umano).

C’è molto altro ancora. Come i messaggi segreti che il personaggio di Daniel Day-Lewis cuce e nasconde nelle pieghe dei suoi vestiti, Anderson tesse, ad ogni possibile piega presa da una scena, una potenziale nuova trama, svela un significato celato che mostra una possibile ulteriore interpretazione del tutto.

Il filo nascosto - messaggio

Il filo nascosto – uno dei messaggi cuciti negli abiti

La magia inaudita che sorprendentemente gli riesce è che, per quanto siano molteplici, i vari risvolti che si offrono allo spettatore riescono a non snaturare la composta eleganza dell’insieme, rendendolo un’accozzaglia informe di troppi significati ed eccessivi rimandi.

Il Filo Nascosto mantiene il rigore formale della narrazione ed infine schiude quello che è forse il suo senso più profondo, come dice il nome stesso, Phantom Thread, che indica in inglese quel movimento ripetitivo che le ricamatrici facevano anche quando avevano smesso di ricamare. Cucendo un “filo fantasma”, quindi. Come i rituali ripetitivi di Woodcock, prima sconvolti da Alma (l’anima?), per essere poi ripristinati con nuove ripetizioni e come il fantasma delle altre storie che sono intessute all’interno del film.

Il Filo Nascosto

Il Filo Nascosto – il ballo

Bilancio finale

Da vedere e rivedere più volte. Per tentare di scoprire altri “messaggi all’interno dei risvolti”. Come indotti dall’avvolgente canto di sirene che è Phantom Thread a ripetere indefinitamente la stessa azione.

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