Nuova recensione in due parti dedicata al filmone inglese “Il Discorso del Re”, film storico-biografico che ha come protagonista Colin Firth nella parte del Re Giorgio VI del Regno Unito (1895-1952). Uscirà in Italia venerdì 28 gennaio.
Il Discorso del Re
Nel 1925, il Re Giorgio V regna su oltre un quarto dell’intera popolazione mondiale. Chiede al suo secondo figlio, il Duca di York, di tenere il discorso conclusivo all’Empire Exhibition presso lo stadio di Wembley, a Londra. Questi non è ancora il successore designato: l’erede al trono è infatti suo fratello, Edoardo VIII (che però abdicherà clamorosamente undici anni più tardi, cedendogli così lo scettro).
All’epoca, il futuro Giorgio VI ha trent’anni. La BBC Radio trasmette in diretta, e tutti gli occhi dei presenti sono puntati su di lui, ma il Duca non riesce a parlare: vanno in onda attimi di silenzio imbarazzante, poi qualche sofferta frase balbettante. Le sillabe restano a mezz’aria e vengono impietosamente echeggiate dall’amplificazione in mezzo mondo. Gli spettatori chinano il capo, avviliti. La moglie trattiene a fatica le lacrime.
Il futuro Re Giorgio VI non è rimasto solo vittima dell’emozione: soffre infatti di una forma di balbuzie che mal si adatta al ruolo pubblico imposto dalla nobiltà inglese. Sa che nella vita dovrà parlare in pubblico, e non potrà sottrarsi a questo impegno. Finisce dunque dapprima nelle grinfie di un logopedista, che ha un aplomb impeccabile, ma pensa di guarirlo ficcandogli delle pallottole di vetro in gola (un metodo che risaliva all’antica Grecia, che ha come unico esito quello di farlo quasi soffocare).
La moglie allora, interpretata da Helena Bonham Carter, si reca a sua insaputa da un altro specialista (Geoffrey Rush): assai più improbabile, all’apparenza, e certamente estraneo all’ambiente aristocratico. Nella vita sembra un perdente nato, poco rispettato in famiglia, ed attore teatrale fallito. Ma che come logopedista, in compenso, pratica metodi molto più innovativi ed efficaci.
I due mondi del futuro Re, e del logopedista sfigato, non potrebbero essere più diversi. Il peso dei loro ruoli è enormemente sbilanciato. Eppure per certi versi si assomigliano, perché anche il Duca viene disprezzato dal padre, dall’ambiente di corte – e dall’intero popolo britannico – per via del suo impedimento nel parlare. Il dottore agirà da psicologo, perché capisce che quell’impedimento è solo il sintomo di qualcosa più profondo…
[fine prima parte – continua]