Jean Jacques Annaud

L’ultimo lupo, l’ultimo film di Jean Jacques Annaud, ed il 3D raccontati dal regista al BIF&ST 2015

Iniziamo oggi una masterclass davvero interessante, quella del regista Jean Jacques Annaud venuto a Bari al BIF&ST 2015 per parlare di se e del suo cinema.

Jean Jacques Annaud

Il regista Jean Jacques Annaud al BIF&ST 2015

L’ultimo lupo, l’ultimo film di Jean Jacques Annaud

L’ultimo lupo, uscito in Italia lo scorso 26 marzo, ha avuto da noi un’accoglienza abbastanza tiepida mentre in Francia ha avuto 7 milioni di spettatori ed è rimasto in programmazione a lungo. Caratteristica prevalente del film è sicuramente il 3D, utilizzato egregiamente dal regista. Ma cosa ne pensa Jean Jacques Annaud del 3D?

In questi video, la cui trascrizione è di seguito, le parole del regista:

Jean Jacques Annaud: Vorrei fare un flashback se me lo consentite. Quello che è successo è che nel ’93 sono andato a lavorare a Los Angeles per Columbia Pictures. Il presidente della Columbia, che mi ha molto aiutato, un giorno mi ha chiamato e in inglese mi ha detto ‘ehi there something new, you have to go to Toronto!‘. C’era qualcosa di folle, una novità in 3D e quindi io ho deciso di andare a Toronto per osservare delle scene brevissime di 30 secondi nel formato IMAX: era qualcosa che mi ha assolutamente conquistato, si trattava di alcune immagini di riprese sulle farfalle ma la qualità era ottima al punto tale che ho pensato che fosse possibile raccontare, narrare una storia, utilizzando questa forma, questa terza dimensione.

All’epoca io lavoravo ad una storia di un pilota francese che si era perso sulla Cordigliera delle Ande ed era stato il soggetto del bellissimo testo di Antoine De Saint-Exupéry. Sapete che Saint Exupery è stato molto celebrato anche dalla stampa però c’era un inconveniente perché nel mio copione prevedevamo un viaggio di un’ora e mezza e dovevamo pensare ad un adattamento più breve. Allora ho dovuto convincere gli agenti della Columbia a fare un primo film utilizzando questo tipo di ambientazione che era nuova.

Jean Jacques Annaud

Il regista Jean Jacques Annaud al BIF&ST 2015

L’ultima volta risaliva ai tempi di Hitchcock ma si trattava naturalmente di una situazione piuttosto difficile perché all’epoca le sale cinematografiche non erano equipaggiate per la proiezione di film in 3D.

Questa è un po’ la sindrome della gallina e dell’uovo, è nata prima la gallina o l’uovo? La Columbia collaborando con Sony ha deciso di costruire delle sale cinematografiche proprio per la proiezione di questo film in 3D, Les Ailes du courage, le ali del coraggio e quindi ho avuto l’orgoglio di poter far scoprire al pubblico contemporaneo le gioie del 3D.

Il 3D

Jean Jacques Annaud: Poi per tornare alla domanda, è chiaro che si tratta di un’estetica del tutto diversa, noi cineasti abbiamo l’abitudine, così come i pittori, di lavorare all’interno di una cornice: il quadro è la scen,a non ci sono altre realtà al di là di quello che noi vediamo dietro, ma la terza dimensione è qualcosa di diverso, è come se diventassimo degli scultori.

Per esempio se faccio un’inquadratura in primo piano non si tratta più di un viso ingrandito con uno sfondo ma si tratta semplicemente di un viso normale che si avvicina all’occhio dello spettatore quindi c’è una grande emotività, tutto cambia e contrariamente a ciò che si è creduto successivamente, il 3D è molto efficace soprattutto per le scene di intimità oppure per le scene minimali da un punto di vista della scenografia.

Però spesso ci sono delle esagerazioni e quindi la procedura viene utilizzata eccessivamente come è accaduto per esempio con il cinema quando il cinema muto è stato sostituito dal cinema sonoro e poi dal bianco e nero si è passato ai colori. Purtroppo anche il 3D è stato utilizzato ritenendo che fosse sufficiente promuovere effetti spettacolari con qualcosa che si proiettasse verso lo spettatore dimenticando invece che il film è in primo luogo una storia quindi bisogna raccontarla bene senza che la tecnica possa sopraffare la narrazione.

La scelta del 3D per L’ultimo lupo la scelta stata oggetto di una lunga riflessione. Io sono convinto che molti oggi non amano il 3D e quindi preferiscono il film in 2D; io ho scelto però il 3D per creare una maggiore prossimità con gli animali soprattutto con i cuccioli perché nel film vi è un equilibrio tra i protagonisti, gli esseri umani e gli animali. Abbiamo un cucciolo di lupo e io pensavo che fosse piacevole dal punto di vista sensoriale per lo spettatore percepire il sentimento di condivisione con l’universo del lupo.

l'ultimo lupo

Una scena de L’ultimo lupo di Jean Jacques Annaud

Questa è un po’ la nozione dell’acquario: se vi trovate davanti ad un’acquario percepite queste immagini in rilievo perché siete all’esterno. Con il 3D voi vi sentite proprio all’interno dell’acquario come se poteste nuotare accanto ai pesci quindi questo genera un sentimento di condivisione delle emozioni. Per questo ho deciso di utilizzare il 3D per il mio film L’ultimo lupo ma in modo abbastanza soft facendo si che dopotutto il 3D non fosse un elemento di disturbo rispetto alla visione naturale.

Se io guardo Michelle lo vedo nel suo splendore in 3D perché è vicino invece se guardo in fondo alla sala vedo un 2D non riesco a fare una distinzione tra le file di sinistra e quelle di destra. Come registi, se utilizziamo il 3D, dovremmo metterlo a servizio della storia ma soprattutto dobbiamo capire una cosa molto importante: quando abbiamo delle immagini 3D siamo costretti ad adeguare la messa a fuoco rispetto all’oggetto e dobbiamo cercare di non far scambiare costantemente la messa a fuoco dello spettatore per non causargli mal di testa.

E poi se si fa un film in 3D bisogna anche riflettere sulla immagine che seguirà. Se l’immagine mi porta lo sguardo da una parte sarebbe assolutamente negativo avere un personaggio che invece si trova sul fondo dall’altra parte nel seguito del film perché in questo modo ci sarebbe uno sforzo, un lavoro degli occhi così stressante che alla fine della visione lo spettatore lascerebbe cadere gli occhiali e avrebbe anche una cattiva comprensione della storia.

Dobbiamo essere disciplinati quando lavoriamo con il 3D, dobbiamo ricordarci che ci sono tanti elementi che differiscono tra di loro così come quando un pittore si trasforma in uno scultore deve sapere che i due mestieri non coincidono necessariamente.

Un regista errante

Quello che colpisce di più della carriera di Jean Jacques Annaud è il suo aspetto internazionale e non tanto della produzione perché ci sono tanti film prodotti all’estero, quanto soprattutto per i luoghi dove sono ambientati i film. C’è nei film di Jean Jacques Annaud un gusto del viaggio che non è assolutamente frequente nei registi francesi. Quale origine ha questa sete di conoscere nuovi mondi?

Nel video, trascritto in seguito, la risposta del regista:

Jean Jacques Annaud:  Io amo scoprire epoche diverse, amo andare incontro alle diverse civiltà, ho molto apprezzato venire in Italia, dove ho girato Il nome della rosa, ho anche vissuto in Italia, ero molto felice all’epoca e nel cuore continuo a trattenere questa atmosfera italiana. Lo stesso dicasi per l’Africa. Ho sempre la voglia di poter portare con me coloro che mi onorano come spettatori dei miei film e condividere con loro le emozione della scoperta.

Un’altra ragione è che io non ho potuto in realtà trovare i finanziamenti necessari per girare i film in Francia con produzione francese e quindi sono stato recuperato in modo assolutamente accidentale dopo il mio primo film che è stato un disastro commerciale in Francia (Bianco e nero a colori n.d.r) ma non all’estero. Credo che Costa Gavras se lo ricorderà e mi dispiace di avergli fatto perdere dei soldi.

Ho avuto molte offerte da parte di Hollywood quando ho cercato di girare La guerra del fuoco. In Francia sono stato messo ai margini quindi sono stato costretto a fare i bagagli, mia moglie che è qui con noi in teatro ha avuto la gentilezza di accompagnarmi, e mi sono trasferito negli Stati Uniti. In Francia ho perso un po’ i miei riferimenti per quanto riguarda la coproduzione quindi ho scelto in modo assolutamente libero di girare in Scozia, in Kenia, in Canada.

Jean Jacques Annaud

I registi Jean Jacques Annaud ed Ettore Scola

Queste avventure positive mi hanno quindi dato il gusto di considerare il cinema un po’ più da lontano, di andare oltre i confini della Senna e mi sono reso conto che era particolarmente bello girare con delle troupe che non parlassero necessariamente la mia lingua. Sapete che l’inglese è la lingua del cinema perciò io non sapevo esattamente a chi rivolgermi all’inizio però sapevo che dovevo rivolgermi alle persone con una cultura diversa. Io cerco di raccontare la storia dell’intimo del cuore piuttosto che concentrarmi sul dialogo basato sull’intelligenza, sul cervello, come accade in letteratura. Sapete che il cinema tipicamente francese non mi appartiene, io sono fuori dalla lista dei registi francesi.

Termina qui la prima parte della masterclass del regista Jean Jacques Annaud al BIF&ST 2015. Continua a leggere la seconda parte.

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