Tony Scott, il regista, è meglio noto come “il fratello scemo di Ridley”. Ma Tony Scott è anche il nome di un misconosciuto clarinettista jazz, nato in America nel 1921 da genitori siciliani, e morto a Roma nel 2007.
Ed è appunto questo secondo Tony Scott ad essere oggetto del nuovo documentario di Franco Maresco, il regista che in coppia con Daniele Ciprì ha creato la geniale striscia di Cinico TV.
Di Ciprì e Maresco insieme, ricordo anche di avere visto nel 2004 il documentario su Franco e Ciccio: “Come inguaiammo il cinema italiano”, sulla coppia plebea di comici che la critica aveva sempre ingiustamente snobbato.
Ora purtroppo Ciprì e Maresco, come del resto era successo a Franco e Ciccio, non fanno più coppia artistica da un po’ di tempo. Di Ciprì si sono perse le tracce, mentre Maresco ha lavorato per tre anni alla figura del suddetto Tony Scott: con un lavoro enorme di interviste (oltre un centinaio, solo una piccola parte delle quali appaiono nel film finito), e ricerche d’archivio. Presentato nei giorni scorsi a Locarno (fuori concorso) “Io sono Tony Scott” scopre un personaggio effettivamente strepitoso.
Il suo vero nome era Antony Joseph Sciacca, tanto per cominciare. Era stato definito “Il più bianco dei neri”, e certo la sua origine sicula è in questo senso simbolicamente significativa. Il sottotitolo scelto da Maresco però spiega meglio il senso del documentario: “Come l’Italia fece fuori il più grande clarinettista del jazz”.
Il grande errore di Tony Scott, infatti, sarebbe stato quello di trasferirsi nel suo paese d’origine – che è anche il nostro – negli anni Sessanta. Qui è rimasto stritolato dalla volgarità e dall’ignoranza del nostro sistema musicale/culturale, trattato come un vecchio sciroccato che millantava glorie passate e collaborazioni con le grandi leggende del jazz. E invece era tutto vero: con lui avevano suonato musicisti del calibro di Bill Evans, Paul Motian, McCoy Tyner.
Era lui a dirigere l’orchestra con cui Harry Belafonte incise la celebre “Banana Boat”: pare anche che lo stesso Tony Scott ne sia stato l’autore (anche se in realtà si trattava di una melodia tradizionale giamaicana, riadattata). Ma l’aspetto più interessante, e triste, della sua vicenda è proprio l’incredibile capacità che abbiamo noi italiani di calpestare i talenti che noi stessi produciamo.
Io il film ancora non l’ho visto, ma forse ne sapremo di più dai nostri inviati a Locarno. Intanto, per approfondire: vai al website dedicato a Tony Scott
non vedo l’ora di vederlo
concordo anch’io, anche se un pò mi intristisco quando sento queste storie!!!
Perse le tracce di D.Cipri’? Se perdere le tracce vuole dire riconoscimenti e premi come david di donatello per la splendida fotografia che ho visto nel film di bellocchio, io voglio sparire subito….
mi correggo: io ne avevo perse le tracce 😉 in realtà vincere mi è piaciuto molto, ma avevo del tutto rimosso che la fotografia fosse di ciprì… perdonatemi!