#Venezia74: Giunto al suo venticinquesimo film, Vittoria e Abdul, il regista britannico Stephen Frears porta al Lido di Venezia una storia d’amicizia da poco riscoperta tra la regina d’Inghilterra Victoria e il giovane servo indiano Abdul durante gli anni di dominio da parte dell’impero britannico dell’India. Cosa dire, la maturità di un regista (nominato due volte al Premio Oscar), è stata ormai assodata da tempo e Frears si è ormai immesso nella sicurezza di un classico racconto hollywoodiano di caratteri diversi e (spesso) di facili buonismi adatto a tutte le famiglie, con la particolarità di scavare in dialoghi sempre acuti e freschi dove i personaggi non hanno mai una ‘fine’ totalmente appagante, divorati da qualcosa che non li porterà mai alla felicità da classico happy ending.
Ed è questa la cosa che eleva e distingue i progetti cui aderisce Frears da tante altre dramedy. Lo abbiamo visto lavorare così, con ottimi interpreti, negli ultimi Philomena (2013) e Florence (2016). E in questo Vittoria e Abdul non troverete alcun cambio di rotta né alcuna sorpresa se non la possibilità di passare due ore del vostro tempo liete in una storia poco conosciuta di una delle regine d’Inghilterra più note ed influenti della storia, interpretata ancora una volta da una sempre magnifica Judi Dench (che torna in questo ruolo) con accanto il bravissimo attore indiano Ali Fazal, qui al suo primo ruolo di primario rilievo ma proveniente da parecchie produzioni americane e non.
La presenza di Frears sta inoltre nella capacità di mettere in scena con delicatezza e con una sopraffina costruzione dell’immagine più che della parola un’amicizia politicamente scorretta, quella tra una regina, un partito nobile, e un musulmano. Il loro primo contatto, lo sguardo, i loro lunghi dialoghi e il loro voler affondare l’uno nella radice sociale dell’altro fino al legame affettivo che ne nascerà porta questo film ad essere oggi un’abile ed intelligente strumento politico per le masse e conferma un regista che di certo ha già detto e ha già dato ma che non smette di portare fuori il meglio dai progetti che gli vengono affidati che col tempo si saranno anche appesantiti ed adattati al sistema ma che non smettono di raggiungere e ricercare una propria (unica) luce.