In queste settimane, fino al 29 aprile, si sta svolgendo presso lo Spazio Oberdan a Milano la terza edizione del Nuovo Cinema Israeliano.
Organizzata dal Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, con la collaborazione della Fondazione Cineteca Italiana, la rassegna è ricca di appuntamenti ed incontri speciali.Fra questi, da segnalare la presentazione, prevista per giovedì 29 aprile alle ore 16:30, del libro Scintille. Una storia di anime vagabonde (Feltrinelli, 2009) da parte dell’autore Gad Lerner.
L’essenza è il conflitto
Il programma prevede la proiezione di molti lungometraggi e documentari mai visti in Italia, o perlomeno a Milano.
Il tema affrontato è quello del conflitto sia socio-politico che affettivo: è quindi l’emarginazione, e la successiva comprensione, ad essere reale protagonista delle pellicole.
Per esempio, la commedia d’apertura A Matter of Size di Sharon Maymon ed Erez Tadmor, presentata lo scorso anno al Tribeca Film Festival, racconta la storia di un gruppo di persone obese che, grazie alla disciplina del Sumo, riusciranno finalmente ad accettarsi per come sono.
Ancora, in Seven Days di Ronit e Shlomi Elkabetz il conflitto si traduce nell’incomunicabilità e nell’incomprensione tra individui della stessa famiglia: la settimana di lutto per la morte di uno dei componenti fa emergere con chiarezza i contrasti sempre presenti.
“It All Begins at Sea“: non tutto è perfetto
Il film, basato su fatti realmente accaduti nella vita del regista Eitan Green, narra le vicende al limite della logica di una famiglia di Askelon, cittadina sul mare originaria dello stesso Green.
I tre episodi, attraverso i quali è articolata la storia, rispecchiano ognuno un costante sentimento di pericolo, reso ahimè in maniera alquanto sterile e banale.
La pellicola, infatti, è piena di esagerazioni non necessarie, specie per quanto riguarda questa continua minaccia di morte e sofferenza.
Senza essere scortese nè eccessiva, a storia conclusa mi è purtoppo venuto da pensare “che film stupido”.
Con tutto rispetto per il regista, sulla cui personale esperienza qui trasposta non si discute.
Scena Prima: “Il mare“
Il piccolo Udi Goldstein (Jonathan Alster) trascorre la giornata in spiaggia con la madre Dina (Dorit Lev-Ari) e il padre Yehuda (Yuval Segal).
Allontanatisi in mare sul materassino, Dina e Udi non riescono a tornare a riva e chiedono aiuto a papà Yehuda, il quale tuttavia non sa nuotare.
Dopo aver quasi affogato un signore giunto in loro soccorso, Udi rischia a sua volta di annegare.
A salvarli ci penserà Tuvia (Tzahi Grad), panciuto bagnino sospettato di omosessualità e pedofilia.
Scena Seconda: “Il muro (sei anni dopo)“
L’ormai dodicenne Udi (Ron Jaegermann) è in gita con la scuola presso un parco archeologico sempre nella zona di Askelon.
Nonostante i continui rimproveri da parte dell’insegnante Tirza (Ilanit Ben Yaakov), Udi scivola da una scarpata e rischia la morte per un’emorragia causata dalla caduta su un sasso.
I genitori, avuta conferma della guarigione del figlio incosciente, decidono di avere un altro bambino.
Scena Terza: “Casa“
A causa della problematica gravidanza di Dina, la famiglia si trasferisce in un nuovo appartamento; il vicino rabbioso e lamentoso Baruch (Asher Tsarfati) si scoprirà essere il fratello del bagnino Tuvia.
Alcune peripezie adolescenziali di Udi e dei suoi compagni di scuola porteranno ad un finale di morte ma proprio per questo anche di riappacificazione.
Va beh, tutti possono sbagliare.
Vale comunque la pena curiosare.