Still life: (ri)cominciare a vivere

In controtendenza come ogni anno nel periodo natalizio al cinema arriva sempre qualche titolo riservato a quella nicchia di pubblico che non cerca la convenzionalità della commedia, o più propriamente del cinepanettone all’italiana (quest’anno la sfida sarà tra Pieraccioni, Brizzi e Parenti), e a cui non basta o non convince il blockbuster fantastico (il secondo capitolo della trilogia de Lo Hobbit) e ricerca un prodotto magari d’essai, una storia più intimista, più elegante, alla ricerca di temi umani universali con emozioni radicate più profondamente nell’animo umano per cogliere un’essenza forse ormai meno convenzionale ma più vicina a quello che il periodo natalizio rappresenta.

E allora, accanto a I sogni segreti di Walter Mitty, di certo non potrà perdere l’opera seconda di Uberto Pasolini, in uscita in 60 copie il prossimo 12 Dicembre, Still life.

Still life

John May (Eddie Marsan; La fine del mondo, Il cacciatore di giganti) è un ossessivo uomo di mezza età, solitario e dal lavoro insolito ma necessario: occuparsi per conto del comune di coloro che sono passati a miglior vita e non hanno famiglia o parenti che si possano occupare del corpo.

Solo che John ha un rapporto simbiotico con il lavoro che svolge, curando nei minimi particolari la sepoltura e il ricordo di ogni “cliente” che incontra. Quando il suo reparto viene ridimensionato e lui licenziato, John dedica tutti i suoi sforzi al suo ultimo caso, che innesterà un primo passo di apertura nei confronti della vita.

Trailer del film:

Vita e Morte

Sin dall’emblematico titolo multi-semantico si coglie la sottile poetica che il regista e sceneggiatore Pasolini ha voluto inserire in questo suo lavoro minimalista, volutamente silenzioso e “sottotono”, riuscendo a raggiungere un grado profondo di emotività ed empatia con il suo personaggio riscontrabile nella costruzione narrativa quanto in quella dell’immagine.

Per quanto il Pasolini uomo possa condividere o meno la prospettiva di vita del suo personaggio, insolita e tristemente solitaria, decide di non giudicarlo mai, di non schierarsi e di porsi anzi alla pari del suo sguardo affinché sin da subito sia chiaro che non esiste una prospettiva di vita migliore o peggiore se la persona che la vive non coglie che possa esistere altro oltre quello che giornalmente respira.

Ed è proprio su questo punto che lavorerà il regista al fine di iniziare a smuovere il suo personaggio verso un’apertura alla vita che continuerà a non giudicare quella da lui vissuta sino a quel momento ma lo porrà soltanto di fronte ad una moltitudine di possibilità in più rispetto al passato affinché possa scoprire che esiste anche altro.

Rapporti

Non è un film sulla morte. Il film si apre su un cimitero desolato, parla di un uomo che “vive” con i cadaveri di mestiere e che “vive” in un perenne stato di morte emotiva, ma il film persiste nel voler essere un inno alla vita, ad ogni tipo di vita. Non di esistenza, non di trascinarsi avanti ma di vivere appieno nel modo e nella prospettiva più consona ad ogni singola persona.

Nella scrittura del suo protagonista e nella storia che gli costruisce attorno, Pasolini rimane sempre coerente all’immagine che presenta tono, ambiente e personaggi e lo conduce attraverso una regia volutamente sottratta ad un clima forzatamente freddo affinché accolga quel pubblico più attento e curioso a percepire l’essenza più profonda e meno esplicita di ognuno dei tanti aspetti e riflessioni a cui questo film ci pone.

E nel ritorno al titolo Still Life, la “natura morta” rappresentata da questo solitario John May magistralmente interpretato da Eddie Marsan, al suo secondo film Uberto Pasolini si conferma un regista pienamente maturo e capace di raccontare in maniera analitica quanto emozionale tanto da rapire il pubblico con un semplice sguardo, con un gesto o un sorriso.

Clip dal film

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