La polvere del tempo: il nuovo film di un regista greco rivoluzionario…

Questo film è stato girato nel 2008, ma è uscito soltanto a giugno del 2011; noi di cinemio abbiamo deciso di farne una doppia recensione. Tu cosa ne pensi?

Un film ridondante e arcaico

la recensione di Davide Cinfrignini

locandina ufficiale del film

La storia è quella di A. (Willem Defoe) un regista americano che a Cinecittà ha interrotto inspiegabilmente le riprese del suo nuovo film, preoccupato per il rapporto con la moglie e per i comportamenti della figlia. A. era intento a dirigere una pellicola sulla storia della madre (Irène Jacob), una donna rinchiusa da giovane nei campi di lavoro in Siberia, perchè accusata di tradimento dal Partito Comunista Sovietico e divisa tra l’amore per due uomini (Bruno Ganz e Michel Piccoli).

Impossibile rimanere indifferenti davanti alle affascinanti scelte registiche di un indiscutibile e affermato talento come Theo Angelopoulos, anche se il risulato dell’opera che dirige è oltremodo ridondante, arcaico e letterario.

Il regista di ” Lo sguardo di Ulisse ” mette in scena una vicenda complessa, i cui fili vengono al pettine poco alla volta , quasi stancamente, recitata da un cast eccezionale, in cui brilla l’intensa prova di Bruno Ganz.

Angelopoulos si perde in una struttura narrativa eccessivamente intrecciata, tra dirompenti declamazioni e trovate di sceneggiatura demagogicamente provocatorie, non perdendo però la capacità di saper far recitare i suoi attori.

Nel “silenzio di scrittura” il film tocca i suoi punti più alti, quando il regista lascia agli interpreti e al loro talento il compito di portare avanti con la loro sola gestualità, l’emotività e le passioni dei personaggi. Una riflessione sul tempo che finisce per essere fine a sè stessa , Angelopoulos è incapace di interpretare con un’adeguata riflessione storica il rapporto tra i cambiamenti temporali della società durante il 900′, la cui narrazione sembra uscita da un libro scolastico, e i mutamenti dei personaggi.

Un film che riesce a produrre allo stesso modo momenti di ottimo cinema, tra poesia in movimento e sofferenze esistenziali che toccano intere generazioni.

Un’opera d’arte e di sentimenti

la recensione di Chiara Ricci

locandina originale del film

Cinecittà. A.(Daniel Dafoe) regista americano di origine greca, riprende a dirigere un film misteriosamente sospeso. Questo è un film biografico che racconta la storia di sua madre Eleni (Irene Jacob) e degli uomini che hanno colmato d’amore la sua vita: Spyros (Michel Piccoli) e Jacob (Bruno Ganz). Il racconto è un susseguirsi vorticoso di eventi mentre si srotola la vita dei protagonisti che, a loro volta, si intrecciano con il presente e il passato, tra flashback, ricordi e storia recente.

Ed è proprio la Storia a muovere i fili delle vite dei protagonisti del film, dividendole, riunendole per fugaci momenti, allontanandole per poi unirle di nuovo in modo indissolubile ed esclusivo. Si passa dalla Seconda Guerra mondiale alla guerra civile greca, dalla morte di Stalin alla guerra nel Vietnam, dalla caduta del muro di Berlino sino ad arrivare all’alba del nuovo millennio.

In questo scenario si agitano i sentimenti di Eleni che dopo mille traversie riesce a riunirsi al suo amato Spyros, dal cui amore è nato A., concepito il medesimo giorno della morte di Stalin poco prima di essere immediatamente separati. E al fianco di Eleni c’è sempre Jacob che l’ama senza riserve a tal punto di decidere di seguirla a New York invece di tornare in Israele, cosciente della sua sofferenza e del fatto che la donna non avrebbe fatto altro che ricercare l’uomo amato e il padre di suo figlio.

Poi c’è il presente. Eleni e Spyros sono felici, raggiungono A. a Berlino per poi recarsi in Grecia dove hanno deciso di stabilirsi. C’è Jacob ormai un uomo stanco, solo ma che è ancora perdutamente innamorato di Eleni e tale è il suo dolore verso la vita che decide di abbandonarla gettandosi nel fiume. C’è la piccola Eleni, la figlia di A., ragazzina depressa che solo sua nonna riesce a salvare da un tentativo di suicidio ma il dolore dell’anziana donna è così profondo da non riuscire a sopportarlo e addormentata abbandona tutti gli amori di una vita.

Il film si chiude con Spyros che chiama Eleni dicendole, tendendole la mano, che è venuto a prenderla.. per poi vedere che a stringere quella mano è la piccola Eleni che, stretta al nonno, attraversa e percorre la strada che si presenta loro davanti. La vita e gli amori continuano, sempre.

Il film di Theo Angelopoulos è una vera opera d’arte di sentimenti, è come un ricco dipinto in cui non manca alcuna sfumatura, è presente ogni colore in ogni sua tonalità carica della sua forza.

È un film che racconta della forza dei sentimenti, di come questi travalichino ogni ostacolo, di come perdurino e si rafforzino con il passare del Tempo, con lo scorrere della Storia.

Il regista con pennellate sapienti ben tratteggia i caratteri dei suoi protagonisti, dosa ogni loro gesto, ogni loro parola senza mai eccedere, senza mai essere in difetto.

È un film creato sull’armonia di parole, di espressioni, di gesti, di colori, di racconti. Non c’è la nostalgia del tempo, c’è la voglia, il desiderio di morderlo, di appropriarsene fino in fondo, di abbellirlo di veri sentimenti, della ricerca del senso della propria vita. In una scena A., dice “Non finisce mai niente” e ancora “La mia unica casa sono le storie che racconto.

In ogni altro luogo mi sento perso”. E tutti noi vedendo questo film e assaporando la meravigliosa colonna sonora punteggiata di melodie greche composta da Eleni (!) Karaindrou, ci ritroveremo a nostro agio a riconoscere in queste storie, lo stesso “mobilio” che adorna le nostre “case”, le pareti dei nostri ricordi e i gesti del nostro presente.

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