“Exit Through the Gift Shop”, di Bansky (seconda parte)

Ultimo giorno dell’anno, ma siamo sempre qui. Ancora a parlare dell’esordio cinematografico di uno fra i più controversi e geniali artisti contemporanei. Se vi siete persi la prima parte della recensione, la trovate a questa pagina. Ed ora possiamo continuare…

Dicevamo, guardando “Exit Through the Gift Shop” non si capisce bene quanto ci sia di vero e quanto di paradossale nella storia raccontata. La forma è quella del documentario dentro il documentario, perché per gran parte vediamo il protagonista (Thierry Guetta) che segue gli street artists in giro nelle città di notte, per filmarli in ogni momento della loro attività. Archivia così ore ed ore di filmati, accumulando in casa sua una quantità enorme di videocassette. Cosa ne farà? Non lo sa neanche lui.

Thierry Guetta inizia a sembrare una sorta di maniaco, la cui dedizione a quello che fa è del tutto inconcludente. Ma ad un certo punto, per caso, arriva una svolta inattesa: tramite un conoscente, ha l’occasione di conoscere il numero uno dei graffiti artists. Bansky, appunto, si trova a Los Angeles, e Thierry – che ormai conosce i muri della città come le sue tasche – gli fa da scorta, guidandolo nei posti più adatti per realizzare le sue opere.

Qualche settimana dopo, Bansky ricambia il favore invitandolo alla sua base, a Londra. Ed incredibilmente – considerata la leggendaria segretezza del personaggio – gli apre le porte del suo studio, gli permette di filmarlo (sempre debitamente incappucciato, è ovvio), lo fa entrare nel suo staff. Thierry Guetta non ha qualità se non quella di essere simpatico, e di lasciare che le persone si fidano di lui.

Ma perché allora il documentario che vediamo non è di Thierry Guetta? Beh, perché ci ha provato alla fine a mettere insieme il materiale girato: ma ne viene fuori una specie di videoclip vomitevole, che dimostra la totale assenza di gusto di Guetta. E’ a questo punto che Bansky inverte le parti: ed il film che Guetta doveva girare su di lui (e sugli altri artisti), diventa il film di Bansky su Guetta.

E contemporaneamente, Guetta passa dall’altra parte: inizia a sua volta a fare opere sui muri, scegliendo l’improbabile nome di “Mr.Brainwash”. E la parte finale di “Exit Through the Gift Shop” è la più incredibile, quella in cui la realtà lascia posto alla fantasia. Eppure, si fatica sempre a capire quale sia il confine tra le due: il racconto della carriera di Mr.Brainwash, e del suo ingresso in grande stile sulla scena artistica, è paradossale ed esilarante.

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