La regista Elisabetta Minen

Registi emergenti: ‘Trê – Sé – Shalosh’ di Elisabetta Minen

E dopo aver ascoltato qualche pillola di intervista sul podcast, ecco oggi l’articolo completo dedicato alla regista Elisabetta Minen ed al suo primo lungometraggio Tre – Sè – Shalosh. Nell’articolo, di cui domani sarà pubblicata la seconda parte, anche la versione audio completa della mia chiacchierata con lei.

Trê – Sé – Shalosh

Udine, una città che già per posizione geografica è esposta ad altre culture: il Friuli-Venezia-Giulia è infatti delimitata da tre confini, Italia, Austria e Slovenia. Il tre, numero chiave del film: tre sono i protagonisti, tre le religioni, nove (tre per tre) i personaggi.

Al centro della storia ci sono Mehdi (Massimiliano Grazioli), iraniano e mussulmano, Pavel (Alberto Torquati), ucraino ed ebreo, ed Irene (Vivianne Treschow), carnica e cristiana. Intorno a loro tre antagonisti: monsignor Angelo, guida e quasi padre della ragazza, una donna misteriosa e diabolica ed un cieco (Werner Di Donato), guida e mentore dei tre ragazzi. Infine tre personaggi secondari: il novizio Edo, Omar, amico di Mehdi e un angelo che suona la tromba ai lati della strada.

Trê – Sé – Shalosh è un film che parla di amore, ma anche di religione, immigrazione ed integrazione. I tre protagonisti sembrano così diversi ma a loro modo si amano pur avendo difficoltà a concedersi veramente: ognuno infatti conserva un dolore che non riesce ad esprimere mentre intorno a loro si svolge l’eterna lotta tra il bene ed il male, tra ciò che è giusto e ciò che non lo è o non dovrebbe esserlo.

Come in un anello di Moebius, le loro storie e quelle degli altri personaggi del film si incontrano, si scontrano, si avvicinano e poi improvvisamente si allontanano, il tutto in una città, Udine, fredda e quasi onirica. Non è certamente facile raccontare a parole il film, per comprenderlo appieno è necessario vederlo e magari anche rivederlo una seconda volta per carpirne i simboli, i dettagli, i sincronismi e gli asincronismi della storia.

Molto bello l’effetto del contrasto tra il montaggio, volutamente frammentato quasi a voler rendere in immagini il disordine che anima il cuore dei protagonisti, e l’armonia della musica, ennesima dicotomia in un film dove tutto, numeri, note, fotografia, parole, nasconde un simbolo o un significato da scoprire.

Una scena del film

Prima di lasciare la parola alla regista Elisabetta Minen, ricordo ai lettori che il film è disponibile in streaming e in pay per view a €1,99 sul canale Indipendentcinema di Streamit, la prima tv sul web.

Quattro chiacchiere con Elisabetta Minen

Sperimentiamo, con questo articolo, una nuova formula di intervista, in parte audio ed in parte scritta. Prima di approfondire, quindi, alcuni argomenti con la regista Elisabetta Minen, ecco la mia chiacchierata con lei

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Ed ora alcuni approfondimenti

Ciao Elisabetta, parlaci di te, delle tue esperienze e di Artemedia…

Non ho una formazione ”cinematografica” canonica: ho compiuto un percoso nello studio della storia dell’arte, del restauro e delle arti figurative moderne (fotografia, grafica pubblicitaria). Non ho frequentato scuole di cinema, se non conseguire un master in sceneggiatura al Dams di Gorizia.

Vengo da diverse esperienze lavorative, fino all’ultima e più coinvolgente in seno all’Associazione Artemedia, associazione che fondo nel ’98 assieme a un gruppo di amici. Organizziamo eventi, spettacoli teatrali, musicali, festival di tango, produzioni video… Ma soprattutto tanto tanto cinema. Mi avvicino al Cinema come pubblico appassionato e onnivoro… Mi piace anche molto l’aspetto tecnico…

Guardo il cinema con occhio tecnico, la mia passione passa dalla macchina fotografica alla cinepresa. Mi diverto a spiare il film dalla finestrella della cabina di proiezione. Divento un tecnico proiezionista. Mi affascina terribilmente la materialità del prodotto cinematografico: la pelicola, il proiettore, l’avvolgitore, le bobine, la giuntrice…

Da proiettare un film a decidere di farne uno il passo non è breve, è stato un autentico salto! Ma è stato naturale spostarsi dall’organizzazione di eventi all’organizzazione di un set cinematografico.

Irene e Pavel, a colloquio con il novizio Edo

Come è nata l’idea di realizzare un film come “Trê – Sé – Shalosh”?

Artemedia è da sempre impegnata nell’organizzazione di proiezioni cinematografiche sia in sale cinematografiche che nelle piazze. Quella di realizzare un film è stata prima una curiosità e poi una voglia irresistibile. Ci sono state persone che in seno all’Associazione hanno contribuito ad alimentare questa voglia.

Mi ritengo fortunata di essere stata affiancata da autentici talenti (Luca Coassin, direttore della fotografia, Roberto Salvalaio, autore della colonna sonora, Ronald Kosturi, supervisore artistico). Tante persone, anche in modo inconsapevole, mi hanno ispirata o mi hanno supportata. A tutte queste un sentito grazie.

In un primo momento dovevo essere impegnata solo in veste di sceneggiatrice e con Artemedia di produttrice, poi ho finito con l’occuparmi anche di regia e di montaggio soprattutto….

Monsignor Angelo, il novizio Edo e l'uomo cieco

Trê – Sé – Shalosh è un film, di cui sei anche sceneggiatrice, fortemente incentrato su religioni e simbolismo: come mai questa scelta? Hai fatto particolari ricerche prima di iniziare a scrivere la storia?

Trê – Sé – Shalosh è soprattutto un film di scrittura. Alla base c’è il desiderio di fare un film “sull’uguaglianza delle diversità”. Religione, razza, colore. Insieme il desiderio di fare un omaggio alla mia città, dare un volto a questa città sconosciuta al pubblico cinematografico, raccontare una storia che appartiene al passato e al presente di questa città, Udine città di frontiera, da qui l’idea molto forte di trattare un tema così sentito come l’immigrazione clandestina, dai risvolti anche tragici.

Ttrattare questo tema in maniera non esclusiva perché è multi-sfaccettata anche la nostra esistenza, traslare poi l’argomento da un piano umano a uno “sovrumano” in cui entrano altri elementi surreali e metafisici (il film è un “patchwork movie” e assembla i generi mistery, drama, sentimental…).

Ricerche sì, ne ho fatte tante. Studi veri e propri non vorrei definirli quanto piuttosto letture appassionate di psicologia spirituale, enneagramma, numerologia, costellazioni familiari, fisioniomica, linguaggio gestuale… riferimenti precisi alle 3 religioni monoteiste direttamente coinvolte perché appartenenti al credo dei 3 protagonisti, citazioni testuali dalla Bibbia e dal Corano o dalla Torah messe i bocca ai vari personaggi… riferimenti filosofici e via dicendo.

Irene e Monsignor Angelo

E’ un film di scrittura anche perché in fase di montaggio, a causa di “errori di continuità”, alcune scene non potevano essere montate come da sceneggiatura causa mutate condizioni atmosferiche… Ma anche veri e propri errori compiuti nel piano di produzione! Quindi il film è stato tutto riscritto (è stato il mio lavoro di tesi al master di sceneggiatura).

Ho dovuto frammentare le scene, spezzare il tempo lineare, ricorrere al flashback e al flashforward, alla visione ripetuta di alcune scene. Questi stratagemmi mi hanno permesso di salvare il film in primo luogo e di farne dei leitmotiv.

E’ un film che va visto e ascoltato con particolare attenzione: ci sono alcuni dettagli, nello specifico oggetti di scena, che aiutano a ricomporre la temporalità della storia; come detto il film non è montato secondo una linearità di tempo quanto piuttosto una circolarità, le scene seguono il percorso di un anello di moebius, o dell’otto rovesciato del segno dell’infinito, la scena non si risolve in un’unica visione ma  si propongono della stessa scena visioni differenti come differenti sono di punti di vista dei personaggi.

La regista Elisabetta Minen

Termina qui la prima parte dell’intervista ad Elisabetta Minen. Continua a leggere la seconda ed ultima parte.

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