Il grande passo

In un Polesine lunare un piccolo film prova IL GRANDE PASSO

Arriva finalmente in sala dopo il periodo travagliato del Covid, Il grande passo, opera seconda di Antonio Padovan con Giuseppe Battiston e Stefano Fresi.

Il grande passo
Il grande passo

di Cristiano Salmaso

Il grande passo

Nel suo negozio di ferramenta a Roma Mario, pingue quarantenne che vive ancora con la madre, riceve una chiamata dal Veneto dove vive il suo fratellastro maggiore Dario, che pare non abbia tutti i venerdì: si è messo nei guai e non ha nessuno che possa aiutarlo ad uscirne, eccetto lui.

Mario parte così alla volta di Quattrotronchi, paesino immaginario nel cuore del Polesine, dove reincontra dopo tanti anni l’altro figlio di suo padre. Dario vive solo in un casolare sull’argine del Po, dove ha appena bruciato il campo del vicino provando a volare sulla Luna con un vecchio razzo; dopo la denuncia, corre il rischio di finire in un ospedale psichiatrico mascherato da circolo ricreativo. Un po’ alla volta Mario riuscirà a guadagnarsi la fiducia del fratello e così, dopo avergli svelato che il loro padre non vive in America ma nella più avvicinabile Vercelli, lo accompagnerà ad incontrarlo per mostrargli che la figura paterna idealizzata durante l’infanzia non assomiglia per niente a quella reale. Ancora più convinto a realizzare il suo sogno, Dario tenterà una seconda volta, con la complicità del fratello, il suo improbabile allunaggio.

Piccolo film che gira attorno ad una grande storia, Il grande passo al quale il titolo stesso allude (il primo passo sulla Luna) rappresenta metaforicamente il coraggio di provare a realizzare i propri sogni, per grandi ed irraggiungibili che possano sembrare: morale fin troppo banale e scontata per questo film che è appunto piccolo, modesto, ma non necessariamente in senso riduttivo e limitante. Una pellicola che prova a fare il suo volo sulla Luna con i pochi mezzi di cui dispone: un rudimentale razzo ripescato dal passato, sul quale nessuno scommetterebbe un centesimo.

Il trailer del film

Un “piccolo” Mazzacurati prova il grande passo verso Spielberg

Girato in un evocativo Polesine lunare, che risulta appropriato e coerente probabilmente anche oltre le consapevolezze del regista, Il grande passo rimanda inevitabilmente alle pellicole di Carlo Mazzacurati non solo per l’ambientazione veneta – dove il regista era di casa – ma anche per il loro modo di trattare i personaggi e di imbastire il racconto; al regista Antonio Padovan, un Mazzacurati più piccolo in ogni senso, va comunque riconosciuta la voglia di sognare in grande, con lo stesso sguardo ingenuo ed eternamente infantile che Steven Spielberg mise in pellicole come Incontri ravvicinati del terzo tipo ed E.T. l’extraterrestre. Il film passa ancora una volta dal piccolo al grande, con un candore che lo salva da un giudizio troppo severo, perchè Padovan rimane un pò troppo in superficie: sia su questo Polesine con vocazione aliena, sia sui personaggi che lo popolano. Una interpretazione non troppo convincente di Stefano Fresi (ci voleva Mastandrea) a fianco dell’ottimo Battiston diventa poi l’ennesima conferma che il cinema italiano è perennemente in sofferenza sul piano della recitazione, dalla quale non riesce mai a smarcarsi: né quando ha un interprete troppo debole come in questo caso, né in quelli in cui, al contrario, né ha di troppo “forti” (pensiamo agli ultimi Amelio e Diritti, per fare due recentissimi esempi). Miglior interprete resta comunque Flavio Bucci nel ruolo del padre anziano, che nel film sembra già guardare quella morte che lo ha colto davvero qualche mese fa.

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