Dal 22 dicembre su DisneyPlus saranno disponibili i primi episodi di The Wonder Years, reboot della celebre serie tv anni ’80 conosciuta in Italia nel decennio successivo come Blue Jeans. Creata da Saladin K. Patterson (per anni sceneggiatore di Frasier), ha tra i protagonisti Dulé Hill (The West Wing), Saygon Sengbloh (apparsa nella sesta stagione di Scandal) e, soprattutto, il piccolo Elisha “E.J.” Williams, la cui voce in età adulta è interpretata, nella versione originale, dal carismatico Don Cheadle (il War Machine degli Avengers, per nominare giusto uno dei suoi vari ruoli).
The Wonder Years
Siamo a fine anni’60 in quel di Montgomery, Alabama. Il protagonista, Dean (Elisha “E.J.” Williams), è un dodicenne che vive con la famiglia in una casetta nella periferia della città.
Suo padre, Bill Williams (Dulé Hill), musicista e insegnante al liceo locale, ha come motto “be cool”, a prescindere dalla situazione, che sia il barbecue che prende fuoco o il figlio che resta attaccato alla presa elettrica.
La madre, Lilian (Saygon Sengbloh), è occupata a tirare giù la gonna, troppo corta, della sorella maggiore di Dean, a organizzare festicciole nel giardino e a dire ai suoi figli, in coro col marito, di “stare fuori dalle questioni degli adulti” ogni volta che li sorprendono a parlare (o altro) insieme. Ma anche a farsi riprendere aspramente dal preside per l’eccesso di apertura con cui parla di temi scabrosi per una “donna” all’epoca, quali il sesso e il fatto che non siano solo gli uomini a provare piacere, per esempio.
E poi c’è un figlio maggiore che scrive dal Vietnam; la già citata figlia che frequenta Black Panther o associazioni similari per la rivendicazione degli afroamericani; due amici di Dean, un maschio, Brad, e una femmina, Cory, che decidono improvvidamente di mettersi insieme, nonostante Dean fosse cotto di Cory e Brad lo sapesse bene – che se non si prova almeno una volta nella vita il tradimento del proprio migliore amico non si cresce davvero.
Il tutto mentre fuori il modo cambia e si rivoluziona: uno dei primi avvenimenti della serie? La morte, sconvolgente per l’intera comunità nera, di Martin Luther King.
Quando cambiare la prospettiva dona una marcia in più
La serie comincia con la suadente voce di Don Cheadle che, come nella versione originale della fine anni ’80, incarna il narratore ormai adulto che ripensa a quel periodo di passaggio in cui dall’infanzia passava all’adolescenza e quindi all’età adulta.
Le sue prime parole rendono già chiaro quanto, in fondo, il 1968 sia non così diverso dal 2021: “Crescendo, Ma’ e Pa’ mi hanno fanno il “discorso sulla polizia”, di come bisogna comportarsi quando ci sono poliziotti intorno”. Perché, ed è questa insieme la novità e la marcia in più del reboot, The Wonder Years nuova versione ha come fulcro la vita di una tranquilla famiglia afroamericana negli Stati Uniti di fine anni ’60. E allora, come purtroppo ancora adesso, quando non si faceva parte dei “white people” bisognava stare attenti, ad essere fermati dai poliziotti. Bisognava già da piccoli sapere cosa era opportuno dire e cosa no, come comportarsi, come evitare il minimo cenno che potesse essere preso come un pretesto, come una provocazione, come una scusa per scatenare l’abuso di potere.
“C’era stata un’elezione presidenziale che aveva diviso il paese e c’era una pandemia d’influenza che dicevano avrebbe ucciso milioni di persone in tutto il mondo. Ma era il 1968, e questo era lo stato in cui si trovava la nostra nazione”. E di nuovo, è il 2021, e non pare che molto sia cambiato.
La fotografia giallo aranciata alla Stand by me, la colonna sonora iper “cool”, come direbbe il padre di Dean, da Otis Redding a Joe Cocker, con tutto il loro mood “nostalgico con stile”, il look variopintoa sfiorare il psichedelico. E ancora:le ingenuità del giovane protagonista e quel sapore dolceamaro che generano certe battute, certe situazioni, la constatazione di quanto muti il quadro quando cambia la prospettiva da cui si guardano le cose… Tutti questi elementi insieme rendono la serie – perlomeno riguardo alle prime tre puntate, che abbiamo potuto visionare in anteprima – un vero gioiellino.
Una curiosità: i primi tre episodi sono stati diretti dal protagonista della serie originale, Fred Savage, che forse ha saputo infondervi quel senso della sdrammatizzazione, della replica arguta, del divertimento che già aveva fatto il successo di The Wonder Years prima versione. Rimane, come allora, il bonus della distanza tra la consapevolezza del narratore, che vede e commenta gli avvenimenti con il classico “senno del poi” e l’inesperienza, a tratti quasi naïve, di luistesso bambino. Che fa quasi tenerezza, e riporta tutti indietro nel tempo, a quando ancora non avevamo visto dietro la tenda il mago di Oz.
Bilancio finale di The Wonder Years
Ideale per una visione in famiglia, da gustare sul divano durante le vacanze – e non solo, ovviamente. Divertente, garbato, e con quello scarto di prospettiva che fa sempre bene e di cui abbiamo ancora, e purtroppo tanto, bisogno. Consigliato.
bonus della distanza tra la consapevolezza
Una coscienza impura, in quanto autocoscienza in opposizione a se stessi, presuppone sempre l’esistenza di un ideale. E i film https://streamingita.video fanno di noi un certo tipo di miracolo