Si sono appena concluse, nell’America televisiva da prima serata, due delle serie più acclamate degli ultimi tempi, “The Walking dead” (produzione AMC) in onda da questo novembre su Fox e “Boardwalk Empire” (della HBO) da gennaio su Sky Cinema. Le due produzioni, pur essendo nate come prodotto per i canali televisivi, risentono di una genesi e di una lavorazione non troppo distante dai classici approcci cinematografici; la linea di demarcazione che divideva l’utente finale sta sempre più assottigliandosi.
“The Walking Dead” è una serie televisiva statunitense creata dal regista Frank Darabont (già regista de “Il miglio verde” e di “The mist”) tratta da una serie horror a fumetti di Robert Kirkman e illustrata da Tony Moore e Charlie Adlard; la storia si può riassumere in poche parole: un gruppo di sopravvissuti ad una non ben nota apocalisse deve sfuggire all’orda di famelici zombie che ha invaso le città della terra. A capeggiare il gruppo un’agente di polizia, interpretato da Andrew Lincoln, la sua famiglia e diversi superstiti che si sono ritrovati uniti dall’orrore dei morti viventi.
A dispetto della lungheza tipica di una serie tv (può arriare anche fino a 25 episodi) “The walking dead, si rivela invece in sei episodi in tutto, nella prima stagione, confezionati ad arte, a partire dal primo coinvolgente episodio pilota; sin dalle prime immagini si nota subito una resa cromatica ed un ambientazione sicuramente diversa dai soliti prodotti per la tv; lo scenario tipico dei film zombie (Darabont ha dichiarato che il suo lavoro si sarebbe ispirato a Romero), la cura per gli effetti speciali, magistralmente creati dal premio Oscar Greg Nicotero (allievo di Romero e Savini), i grandi totali di ripresa, una sceneggiatura mai banale ed un gusto/amore per gli zombie fanno di “The walking dead” un lungo film di 270 minuti dove, anche chi non è avvezzo alle pratiche seriali, può rimanere vittima della fascinazione narrativa e visiva.
Sempre dall’America, dalla HBO e da Terence Winter (sceneggiatore da Emmy Oscar per i “Soprano”)arriva “Boardwalk empire”, gioiellino in 12 puntate ambientato ad Atlantic City durante il proibizionismo ed interpretato da Steve Bushemi, Michael Pitt e Kelly Macdonald.
La presenza di Bushemi, grande mattatore della storia (interpreta il personaggio di Enoch “Nucky” Thompson, diviso tra la legge ed il contrabbando di liquori), alza il tiro della serie, già di grande caratura vista la produzione di Martin Scorsese, che ne ha diretto anche l’episodio pilota, e di Mark Wahlberg (gia nei panni di attore in “Max Paine” e “Amabili resti”); l’ambientazione è quella degli anni ’20 della corruzione, dei bordelli, dei gangster e dell’illegalità in una Atlantic City dalla facciata puritana; fanno da contorno al protagonista tutta una serie di personaggi di cui conosceremo successivamente le gesta, i giovani Lucky Luciano e Al Capone; la serie gode di una ottima sceneggiatura e di una ricostruzione minuziosa delle ambientazioni e dei costumi dell’epoca (il serial è costato più di 60 millioni di dollari) e se non sarà relegata, qui in Italia, ai soliti orari televisivi da fase Rem, potrà sicuramete avere quel successo che, in America, già preannuncia una nuova serie di episodi.
Gli sforzi produttivi e gli investimenti verso una “cinematografia televisiva” che viene dall’America, ma anche dall’Inghilterra (segnalo l’ottimo “Misfits” e l’indeito “Sherlock”), evidenziano sicuramente uno spostamento nell’asse dell’intrattenimento su piccolo schermo, sia per cercare di recuperare gli spettatori che via via vanno perdendosi nei meandri della rete, sia per rintracciare una lettura del linguaggio filmico che sempre più va verso un’orizzonte universale.
E in Italia? Persi tra le fiction con Gabriel Garko, i Distretti di Polizia, i Medici in famiglia e i Cesaroni non ci rimane che confidare nel “Romanzo criminale” di Stefano Sollima da novembre su Sky con la sua seconda stagione (sob!).