The Lighthouse è un film del 2019 diretto da Robert Eggers. Protagonisti della pellicola sono: Robert Pattinson e Willem Dafoe.
Nonostante la limitata distribuzione, il lungometraggio è stato accolto positivamente dalla critica. In Italia, l’opera è stata collocata direttamente in streaming da Universal Pictures.
The Lighthouse
Fine Ottocento. Thomas Wake e il nuovo assistente, Ephraim Winslow, giungono su un’isola sperduta del New England. I due dovranno badare al faro per le successive quattro settimane, in attesa del traghetto di ritorno. Le difficili condizioni atmosferiche, però, mineranno sempre più la convivenza, mettendo alle strette i nervi di entrambi.
La natura sopravvive all’uomo
Come per The Witch, Eggers catapulta l’uomo in un contesto avverso: i nostri sbarcano su una piccola roccia martoriata dal mare e flagellata dal vento. I gabbiani, portatori delle anime dei marinai perduti, osservano dall’alto, non curanti della fatica dei protagonisti. La nebbia circonda la terra e, viscidamente, priva i malcapitati del lume della ragione. La pioggia si mescola all’acqua delle onde, mentre la brezza marina si fa sempre più forte, scalfendo i lineamenti dei volti. Le intemperie avvolgono quindi i quadri di Eggers, scandendo degli istanti che paiono infiniti: il ciclo giorno/notte perde poco a poco la propria valenza, sfociando in un complesso nebuloso. Il cineasta mostra con chiarezza, quanto la natura divenga comprimaria e, allo stesso tempo, antagonista.
La forma al servizio della sostanza
L’alternarsi di ombre e luci costituisce l’Espressionismo dell’opera, deformando oggetti e volti. Non solo, l’oscurità è assimilabile alle profondità degli abissi ed è ciò che rimanda alla perdizione dei characters. In sostanza, le tenebre inghiottono lentamente Thomas e Ephraim, reclamando quel poco di ragione rimasta. L’illuminazione è invece affidata alle timide lingue di fuoco delle candele, così come al bagliore del faro o ai lampi che squarciano lo sfondo; impressionante a tal proposito, i contrasti tra chiari e scuri. L’aspect ratio 1.19:1 restringe brutalmente il quadro, rendendo ancor più angosciante il calvario del marinaio e del subordinato. Infatti, al fruitore sembrerà di soffocare sotto il peso della tensione, architettata ed esplicitata egregiamente, dalle scelte stilistiche dell’autore nordamericano. Da un punto di vista formale, la poderosa regia predilige la staticità: tant’è che le geometrie delle inquadrature accentuano efficacemente l’impatto della fotografia di Jarin Blaschke. L’impianto tecnico eccelle in ogni comparto, lasciando poco spazio a qualsivoglia sbavatura.
Il tempo è tiranno
Il tempo è volubile e conduce i personaggi in una spirale di delirio e orrore: del resto, è impossibile calcolare quanti giorni siano passati dallo sbarco. L’incedere incerto della routine, presenta banchetti che seguono al riposo, bevute che anticipano balli, discussioni o scazzottate. E poi ancora, alternando confusamente le ultime ai primi, le grida al canto delle sirene e i lamenti alle risate. I periodi si accavallano e l’arco narrativo si riduce a un ciclo eterno di disperazione. Inizio e conclusione designano un quadro caotico, distante dai principi di causa-effetto tanto cari all’intreccio ordinario. Dunque, l’autore rielabora il concetto di tempo, soffermandosi sulla relatività e la precarietà dello stesso.
Miti, letteratura e…
Ephraim e Thomas sono Prometeo e Proteo. Quest’ultimo, riconducibile al vecchio barbuto, protegge gelosamente il sapere. Servitore di Poseidone, multiforme e capace di dialogare con le creature, si dimostra sin da subito spietato, umiliando il giovane a più riprese. Il suddetto invece, ambisce al fuoco primordiale: metafora di conoscenza e ragione. Ma come per il mito, anche il ragazzo cadrà vittima della propria natura, pagando a caro prezzo il gesto di ribellione nei confronti dell’altezzoso Wake. Egli infatti, si ritroverà il fegato dilaniato dai gabbiani, costretto a un dolore lancinante ed infinito.
Oltre alla mitologia greca, il cineasta s’avvale di prorompenti visioni Lovercraftiane: allucinazioni che mostrano tentacoli enormi e ventose ricoperte da liquidi osceni, mentre si concretizzano sotto gli occhi increduli dei nostri. Non solo, gli echi letterari delle più famose opere marinaresche, imbevono il corpo della sceneggiatura e vengono resi manifesti, da una messinscena pregevole: “La ballata del vecchio marinaio” e “Moby Dick” tra i molteplici. Alienazione ed estraniazione i cardini di un’opera che ricalca la produzione di Edgar Allan Poe. Quest’ultima, oltre a influenzare la denominazione del progetto, si ripercuote sia nelle atmosfere che nelle scenografie.
Senti come suona
Il lungometraggio non solo gode di un’estetica mozzafiato, ma estende ad arte anche il sonoro. Inizialmente, è lo sbuffo della nave a rimbombare e riempire la scena, mentre i silenzi tra una sequenza e l’altra accentuano la sensazione di solitudine. I peti del bizzarro Wake rituonano, contrapposti alle masse d’acqua che s‘infrangono sugli scogli, laddove l’acuto della sirena viene sprigionato con violenza. O ancora il sibilare delle raffiche, che determina lo scricchiolio delle assi di legno. Infine, è l’urlo sordo di Ephraim a sconvolgere il fruitore: un ruvido e grottesco lamento che racchiude il senso dell’opera.
Il faro nella notte
In sintesi, l’ultima fatica di Eggers attraversa con coraggio i decenni che hanno reso grande la settima arte. Ricerca e rielaborazione le parole chiave: sia dal punto di vista formale che sostanziale. Il cineasta imprime nuovamente la propria poetica, all’interno di un prodotto sfaccettato e non collocabile nel tempo: frutto di un operato autoriale che respinge violentemente i dogmi del cinema commerciale. Il genere può dirsi al sicuro, elevato a post-modernità, da un artista straordinario.
Grazie per l’attenzione. Continua a leggere gli articoli della rubrica horror da me curata.