Rassegna horror “PericolosaMENTE”: fin dove può arrivare la follia umana? – parte prima

Mercoledì 10 marzo ha preso il via, presso l’Area Metropolis 2.0 a Milano, la rassegna “PericolosaMENTE”, a cura della Fondazione Cineteca Italiana.

Attraverso la proiezione di cinque titoli rappresentativi del cinema horror, si vogliono percorrere ed esplorare differenti forme di psicosi, ma soprattutto osservare diversi modi in cui importanti registi hanno saputo trasporre sul grande schermo l’impulso omicida.

Il primo film che è stato proiettato è uno dei capisaldi non solo del genere orrorifico, ma di tutta la storia cinematografica: The Shining (1980) di Stanley Kubrick, tratto dall’omonimo romanzo di Stephen King.

The Shining : la trama

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Lo scrittore fallito Jack Torrance (un eccezionale Jack Nicholson) accetta l’incarico di guardiano dell’Overlook Hotel, nel Colorado, durante il periodo invernale, e vi si trasferisce con la moglie Wendy (Shelley Duvall) e il figlioletto Danny (Danny Lloyd).

L’albergo fu in precedenza teatro di un terribile omicidio-suicidio ad opera del custode James Grady, che si sparò dopo aver fatto a pezzetti la moglie e le due figlie gemelle di 8 anni.

Il massacro avvenne nella stanza n° 237 (nel libro di Stephen King è la n° 217); per questo, il cuoco nero dell’hotel, Mr. Halloran (Scatman Crothers), ne proibisce l’ingresso a Danny, il quale, attraverso l’amico immaginario Tony, è in grado di vedere immagini future (ciò che Halloran chiama proprio “shining”, la luccicanza).

Ben presto inquietanti presenze del passato sconvolgeranno la mente del bambino, e spingeranno Jack verso una follia omicida che inseguirà moglie e figlio nei labirinti angoscianti della psiche umana.

“Work and no play make Jack a dull boy”: l’orrore secondo Kubrick

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Stanley Kubrick

Temi centrali del film sono alcuni dei tipici motivi del cinema di Kubrick, e proprio per questo The Shining può essere considerato significativo per la comprensione dello stesso regista.

Innanzitutto, ritroviamo la crisi del controllo temporale e spaziale specifica dei personaggi kubrickiani, e la figura del labirinto ne è simbolo principale (ed è una delle prime differenze sostanziali con il romanzo di Stephen King). Tale figura viene riprodotta non soltanto nel labirinto di siepi all’esterno dell’Overlook Hotel, ma anche all’interno di esso, come nella moquette dei pavimenti o negli arabeschi di parole che Jack traccia sui fogli di quello che dovrebbe essere il suo nuovo libro.

In Kubrick, infatti, il labirinto traduce perfettamente la perdita di controllo del soggetto sia sul tempo che sullo spazio: gli stessi corridoi dell’albergo, vuoti e uguali fra loro, non permettono alcuna mappatura mentale del luogo.

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E così pure noi ci perdiamo in questa follia

Attraverso la luce artificiale piena, quasi abbagliante (in totale opposizione, tra l’altro, alle atmosfere cupe tipiche del film dell’orrore), lo smarrimento dei personaggi coinvolge anche gli spettatori, per i quali è impossibile distinguere il giorno dalla notte.

Addirittura le didascalie, che dovrebbero invece aiutare il nostro sistema di orientamento, sono fuorvianti, non indicano con precisione il livello temporale della storia (o, quando lo fanno, è comunque per noi difficile capire quanto tempo sia passato dall’inizio).

E’ come se noi che guardiamo fossimo mossi da presenze esterne e paranormali proprio come i personaggi del film.

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Ecco allora che subentra un altro tema fondamentale del cinema di Kubrick, ossia il modello: la situazione vissuta dai protagonisti nel mondo cinematografico rappresenta il modello di quella che vive il pubblico di fronte allo schermo. Così come la madre Wendy e il figlio Danny, camminando nel labirinto di siepi, divengono parte del modello-plastico del labirinto stesso che Jack, nell’albergo, sta guardando in quel momento.

Il rapporto tra il mondo testuale del film e quello dello spettatore viene intensificato dall’uso delle soggettive nelle riprese, che portano il pubblico a vedere con gli occhi dei protagonisti.

Ciò è  reso ancor più veritiero grazie all’innovazione tecnica portata dalla steadicam, una camera fissata al corpo dell’operatore (che in questo caso era Garrett Brown, inventore di questo tipo di macchina) e ammortizzata da appositi congegni idraulici, il che garantisce la scioltezza dei movimenti.

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Stanley Kubrick  (a sinistra) e Garrett Brown con indosso la steadicam (a destra)

Scena finale: la perdita di controllo sul tempo

Emblematico è il finale del film, che con la sua carica inquietante apre infinite interpretazioni.

Con un carrello in avanti, infatti, l’ultima inquadratura si chiude su di una vecchia fotografia, scattata durante una festa da ballo nell’Overlook Hotel il 4 luglio 1921 (anno a cui appartengono i fantasmi manipolatori di Jack).

In primo piano, ospite tra gli altri, compare Jack Torrance.

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Nella foto, Jack Torrance (Jack Nicholson) è quello con la scritta davanti, ndr

Ogni conclusione appare però imperfetta, opinabile; e siamo allora costretti, anche una volta terminato il film, a richiamarne le immagini alla mente, che in questo modo ci perseguiranno come incubi psicotici.

Ecco i prossimi appuntamenti con la pazzia

La rassegna prosegue mercoledì 24 marzo alle ore 21 con un appuntamento d’eccezione: La Caduta della Casa Usher (1928) di Jean Epstein, tratto dall’omonimo racconto di Edgar Allan Poe, con accompagnamento dal vivo al pianoforte di Francesca Badalini.

Martedì 30 marzo alle 21:15 sarà invece la volta de Il Seme della Follia (1995) di John Carpenter, che lascerà poi spazio all’intramontabile Psycho (1960) di Alfred Hitchcock, previsto per mercoledì 14 aprile alle ore 21.

Per concludere, mercoledì 28 aprile sempre alle 21 verrà proiettato il più recente Il Silenzio degli Innocenti (1991) di Jonathan Demme.

...”Lasciate ogni speranza, voi ch’entrate”!

psycho

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