Tutti in piedi, la commedia romantica scritta diretta e interpretata da Franck Dubosc, con Alexandra Lamy e Gérard Darmon

Nei cinema dal 27 settembre Tutti in piedi, la divertente commedia romantica scritta, diretta e interpretata da Franck Dubosc, attore brillante al suo esordio alla regia. Lo affianca sulla scena un notevole tris di donne: l’impeccabile Alexandra Lamy nel ruolo della co-protagonista, l’esilarante Elsa Zylberstein in quello della segretaria stordita e la spumeggiante Caroline Anglade in quello della sorella, iniziale obiettivo delle sue mire seduttive.

Tutti in piedi - locandina

Tutti in piedi – locandina

Tutti in piedi

Jocelyn (Franck Dubosc), uno scapolo impenitente che ama quasi più la sfida della conquista che la conquista vera e propria, si trova per una serie di equivoci a venire scambiato da una bella e giovane vicina (Caroline Anglade) per un paraplegico. Poiché la ragazza, Julie, sembra intenerita per la sua condizione e, tra l’altro, essendo in cerca di lavoro, si offre di aiutarlo nelle piccole incombenze quotidiane, Jocelyn decide di non chiarire il malinteso e continua a fingere di aver bisogno della sedia a rotelle.

Ma, in effetti, Julie è interessata a lui perché ha una sorella più grande anche lei paralizzata, e pensa che i due potrebbero piacersi, avendo questo handicap in comune – come scopre con un leggero sgomento lo stesso Jocelyn quando accetta l’invito della giovane a pranzare con la sua famiglia.

Contrariamente alle sue stesse aspettative, però, l’incontro con Florence (Alexandra Lamy) è meno male del previsto: Jocelyn rimane gradualmente affascinato dalla personalità prorompente della donna, violinista di successo, tennista per hobby, piena di vita e di passioni a prescindere dalla sua situazione. Complice anche l’intervento della segretaria Marie (Elsa Zylberstein), che, dopo aver parlato con Florence, ne rimane ammaliata, Jocelyn inizia a frequentarla, continuando a fingere di non essere in grado di camminare.

Quello che era cominciato come un gioco diventa un rapporto sempre più serio e coinvolgente, che Jocelyn non sa più come portare avanti, combattuto tra il desiderio di confessare la sua menzogna e la paura che non verrà mai perdonato per averla inscenata. I suoi tentativi in un senso o nell’altro saranno sempre più disastrosi e maldestri, e coinvolgeranno, volenti o nolenti, oltre alla segretaria anche l’amico di lui, Max (Gérard Darmon), la sorella di lei, Julie, il fratello di lui, Lucien (Lauren Bateau), in una girandola di situazioni tra il comico e il commovente. In cui emerge chiaramente – come lapidariamente sentenzia Julie – che il vero handicap sia Jocelyn ad averlo, e il peggiore, poiché riguarda i sentimenti e la sua incapacità di affrontarli in modo maturo.

Un esordio alla regia garbato con brio

Franck Dubosc deve buona parte della sua popolarità in patria all’aver dato vita in modo estremamente credibile al personaggio del seduttore incallito, che poi è quello che interpreta anche al principio di Tutti in piedi. Il tema del casanova impenitente, che ha un bisogno quasi patologico di piacere agli altri, tanto da arrivare a mentire per farlo, è sicuramente a lui caro, anche per il parallelismo inevitabile con il mestiere d’attore. In questo film, che segna anche il suo debutto dall’altra parte della telecamera, riesce nel compito non scontato di riproporre il suo consueto cavallo di battaglia senza che si risenta alcuna stanchezza nella ripetizione, anzi facendolo evolvere e maturare con sensibilità e tatto.

Tutti in piedi - scena

Tutti in piedi – Dubosc e Lamy

L’argomento toccato, la disabilità, pare essere in auge nelle recenti commedie d’Oltralpe – basti pensare a film come Un figlio all’improvviso, da poco uscito anche in Italia. Dubosc, però, è in grado di mantenere – anche nelle gag più scontate – un’attenzione e un garbo che francamente sono mancati ad altri suoi compatrioti che si sono cimentati in tematiche simili. Certo, la questione è affrontata di petto, senza mezzi termini, senza particolari falsi buonismi, come probabilmente potrebbero fare e spesso fanno persone che questo genere di problema lo hanno davvero. Ma non si scade mai nell’eccesso, nello scivolone di cattivo gusto, nella derisione inappropriata.

Dubosc esprime al meglio la sua capacità anche autorale, di sceneggiatore ormai alla sua sesta esperienza di copione cinematografico, arrivando a confezionare un prodotto leggero ma a tratti toccante, pieno di momenti decisamente divertenti e con un’ottima alchimia tra gli attori.

Tutti in piedi - cast

Tutti in piedi – cast

Oltre a lui, spicca l’effervescente Alexandra Lamy, perfetta nel suo ruolo di donna che ha accettato il suo destino non facendo fermare la sua vita a causa di un incidente che aveva fermato le sue gambe. L’attrice si è tenacemente preparata, prendendo lezioni per poter giocare a tennis in sedia rotelle in modo plausibile.

Anche i vari comprimari sono assolutamente in parte e contribuiscono al ritmo vivace di Tutti in piedi: da Gérard Darmon, che interpreta l’amico di Jocelyn, Max, confidente da sempre e complice riluttante dell’inganno, a una spassosa Elsa Zylberstein, la segretaria un po’ svampita, un po’ romantica, con una risata che non si può sentire quando beve e un’incapacità quasi cronica di evitare clamorose gaffe. A Caroline Anglade, la sorella-Cupido, che coi suoi occhi sbarrati, gli shorts e il fare da oca giuliva se ne esce fuori con la definizione più memorabile del film, il vero schiaffo morale a tutta la precedente carriera di seduttore di Jocelyn – e, con lui, dello stesso Dubosc.

Per finire con due camei minuscoli ma significativi: quelli di François-Xavier Demaison, nel ruolo del prete incontrato a Lourdes, con la sua camminata decisa e lo sguardo da chi trama nell’ombra; e quello di Claude Brasseur, per i un-po’-più-che-millennials l’indimenticabile papà dell’ancora meno dimenticabile Sophie Marceau ne Il tempo delle Mele, qui tristemente padre – pensionato in un ospizio – di Jocelyn.

In quanto italiani, fa forse ridere giusto l’idea inveterata di associarci alla canzone di un tempo e al petto villoso, che, secondo il protagonista Jocelyn, nostro compatriota per parte di madre, lo caratterizzerebbero come originario (seppur solo per metà) del nostro paese. Nella versione originale si può anche gustare una performance alquanto stonata di una musica nostrana apparentemente datata – e in realtà composta nel 2017 da Brice Davoli, “Amore mio” – cantata da Dubosc a un’attonita e divertita Alexandra Lamy. D’altronde, come spesso accade, l’unica nota dolente è proprio il doppiaggio, che appiattisce notevolemente le sfumature e la verve degli attori in lingua originale.

Tutti in piedi - scena

Tutti in piedi – scena in piscina

Bilancio finale di Tutti in piedi

Classica commedia brillante a sfondo romantico, con i due protagonisti che si innamorano a causa o grazie ad un equivoco e che infine rischiano di tutto sciupare quando l’equivoco va, per forza di cose, chiarito. Si ride, si sorride, e a volte si rimane anche toccati. Ciò che emerge maggiormente è la bravura di Dubosc a trattare con garbo il tema dell’handicap, che l’avrebbe potuto facilmente far scadere di tono. Quindi, nel complesso, ottimo per farsi quattro risate in attesa dell’happy ending e buona prova registica per l’attore.

Una citazione a parte merita la fantastica villa fuori Parigi che nella finzione scenica appartiene a Jocelyn, con quella superba terrazza che si trasforma in piscina che rimane una delle scene memorabili del film – e uno dei sogni inconfessabili della maggior parte degli spettatori, dopo averla vista.

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