Pinocchio, il live-action firmato Robert Zemeckis e interpretato, tra gli altri, da Tom Hanks, Luke Evans, Joseph Gordon-Levitt, Cynthia Erivo e dall’attore italiano Giuseppe Battiston, sbarca su Disney+ l’8 settembre, in occasione del Disney+ Day. Che, per chi non lo sapesse, è una celebrazione annuale istituita nel 2021 per festeggiare l’universo Disney ospitando sulla piattaforma di streaming esperienze speciali per fan e abbonati nonché nuovi contenuti dei suoi brand principali.
Pinocchio, prodotto e scritto dal premio Oscar Zemeckis insieme a Chris Weitz (già sceneggiatore di Cinderella e Rogue One), è ben il ventesimo (mal contato) riadattamento cinematografico del celebre romanzo scritto da Collodi nel 1883. E non sarà l’unico a veder la luce quest’anno, visto che a dicembre dovrebbe uscire la versione in stop-motion realizzata da Guillermo del Toro per Netflix.
Pinocchio
Per quei pochissimi che ancora non dovessero conoscerne la storia, Pinocchio è una marionetta di legno (con la voce di Benjamin Evan Ainsworth nella versione originale). Creata dal solitario e lievemente strambo Geppetto (Tom Hanks) in ricordo del figlioletto, presumibilmente morto insieme alla madre in circostanze non chiarite (giusto per inserire un po’ di backstory, come è consuetudine negli ultimi live action Disney).
In una notte già di per sé un po’ magica, complice un desiderio espresso al comparire della stella più luminosa, il burattino prende vita. Con grande sorpresa, all’indomani, del suo creatore. Che, come se fosse la cosa più naturale del mondo, decide immantinente d’inviarlo a scuola a imparare il necessario, non sia mai che si trasformi in una marionetta sgrammaticata.
Se mai dovesse avere qualche dubbio, avendo all’attivo meno di dodici ore di vita, su ciò che è bene o ciò che è male, che problema c’è? Abbiamo qui il prode Jiminy Cricket, anche detto Grillo Parlante (Joseph Gordon-Levitt), promosso sul campo “coscienza provvisoria” di Pinocchio dalla Fata Turchina (Cynthia Erivo). Che già che c’era gli ha rifatto il guardaroba e si è anche fatta una cantata (se no che film Disney sarebbe?): l’iconica “When you wish upon a star” – nella versione italiana interpretata da Frances Alina, semifinalista della quarta edizione di The Voice of Italy e voce della Social Band di Radio2 Social Club.
Cacciato in malo modo dalla scuola, carente evidentemente di vocazione all’inclusione, perlomeno quando si tratta di “teste di legno”, Pinocchio si trova coinvolto, suo malgrado, in una serie di avventure, tra carrozzone del burattinaio Stromboli, anche detto Mangiafuoco (Giuseppe Battiston), insidie del Gatto e la Volpe (Keegan-Michael Key), viaggio a Pleasure Land/il Paese dei Balocchi trasportato dal Postiglione (Luke Evans), e quant’altro.
Fino ad arrivare all’epilogo, comprendere una giusta dose di lezioni e trasformarsi – o meno – in un bambino vero.
Fedele alla versione animata degli anni ’40, con alcuni tocchi di attualità e un carico da novanta di magia Disney DOC
La domanda potrebbe sorgere spontanea in molti di noi: si sentiva davvero la necessità di un’ulteriore versione di Pinocchio? Per giunta, se lo vedete nella versione originale (come abbiamo fatto noi in anteprima), dovrete fingere che abbia un senso l’origine del suo nome da “out of pine” (letteralmente “fuori dal, venuto dal pino”). E di non avere sentito cantare Tom Hanks, che ok che gli si perdona tutto, ma qua si sfiora il punto di non-ritorno.
Però.
Però fin dalla sigla iniziale, in cui un Grillo in CGI scende come una novella Mary Poppins sulle strade buie e bagnate del paesino simil-toscano, un’ondata di magia Disney DOC si diffonde dagli schermi nelle nostre case. Avviluppandoci in un mare di ricordi. Di sensazioni piacevoli. Di déja-vu che ci riportano dritti dritti alla versione animata di Pinocchio. Quella del 1940. Citata quasi in maniera letterale, dalle fattezze del burattino a quelle del gatto Figaro e del pesciolino dagli occhioni enormi. E dello stesso Geppetto, che assomiglia di più al personaggio del cartone animato che a Tom Hanks.
Ma la magia non è evocata soltanto dalla fedeltà visiva al classico Disney: anche da tutte le strizzatine d’occhio all’intero universo creato dal buon Walt. Dalla già menzionata discesa iniziale del Grillo appeso ad un ombrello, ai vari orologi a cucù attaccati alla parete. Che rivelano, quando suonano, chi Maleficent, chi Roger Rabbit intento a baciare voluttuosamente Jessica, chi Paperino… E molti altri, si divertiranno a riconoscerli tutti gli amanti degli easter egg.
Senza dimenticare le origini del tutto, evocate con nonchalance nella scritta della scatola sopra cui sta il Grillo, “Collodi soap”. E i brividi che vengono sentendo intonare (fortunatamente in modo ben diverso da come faccia Hanks/Geppetto) la mitica “When you wish upon a star”. Che immediatamente si è catapultati a Disneyland. Si è tornati bambini a prescindere dall’età. E vien voglia di dondolarsi canticchiandone la melodia. Di mangiare una merendina o una cioccolata calda. Di lasciarsi trasportare dall’incanto. Et voilà, pensare che un’altra volta Disney ha fatto centro. E che per festeggiare il Disney+ Day alla fine sì, un’altra, ennesima adattazione di Pinocchio tutto sommato era più che adeguata.
Poi, in realtà, ci sono anche una serie di discrepanze, non solo dalla versione Collodiana – che questo ce lo si aspettava. Ma anche da quella degli anni ’40. E ci sono anche tanti riferimenti ai nostri giorni. Ad esempio, la Volpe suggerisce a Pinocchio di non studiare e andare a scuola ma di diventare un influencer. E darsi un nome d’arte, tirando in mezzo pure Chris Pine, deve essere il suo karma attuale di essere tiratoo in mezzo. Nella “Terra del Piacere” (oggettivamente, nome più appropriato del generico “Paese dei Balocchi”) c’è un tripudio di messaggi che si riferiscono a tentazioni del momento. Dagli eccessi di zuccheri all’angolo degli haters, al bere alcol, giocare giocare giocare, non darsi limiti, e chi più ne ha più ne metta.
In più, una burattinaia e una marionetta/ballerina che non c’era, Sofia, un gabbiano parlante. E due o tre altre cose, qua e là.
Salta all’occhio, rispetto alla già benevola versione precedente, che Pinocchio è meno colpevole che mai. Non più nemmeno dispettoso o disubbidiente, giusto spaesato a facile a perdersi per strada a causa della malevolenza altrui. In perfetta linea con la tendenza deresponsabilizzante che imperversa, su tutti i fronti.
Bilancio finale di Pinocchio
Decisamente adatto ad una bella serata in famiglia, e non male per chi con Disney &co ci è cresciuto. Eccezionale? Non particolarmente, ma un omaggio davvero bello, e ricco – sia visualmente sia nei riferimenti – al grande classico degli anni ’40. E, più in generale, a quell’atmosfera di caldo, di casa. Di infanzia e sorrisi. Di magico e speciale. Che poi, alla fine, è l’incanto targato (e confezionato) Disney, in tutto il suo splendore.