Una sconfinata giovinezza di Pupi Avati

Ritroviamo oggi Chiara Ricci, una delle nostre inviate speciali, che per conto di Cinemio è andata a vedere il nuovo film di Pupi Avati, Una sconfinata giovinezza e ce lo racconta in anteprima.

La trama

Francesca (Francesca Neri), insegnante di filologia alla Sapienza, e Lino (Fabrizio Bentivoglio), affermato giornalista sportivo, formano da moltissimi anni una solida coppia. Le loro vite sembrano trascorrere tranquille, felici. Entrambi, nelle rispettive professioni, sono realizzati e stimati ma la vita non ha donato loro la gioia di un figlio. Ma questa mancanza invece di dividerli sembra aver reso la loro unione ancor più salda ed esclusiva.

La locandina del film

La locandina del film

Le loro vite continuano a scorrere tranquille, serene e colme del loro amore, almeno fino a quando Lino inizia ad avere problemi con la memoria. Da principio dimentica cose banali sino ad accusare, di lì a poco, seri disturbi che lo portano, inevitabilmente, a compromettere la sua posizione professionale e non solo.  La diagnosi non concede dubbi: si tratta di Alzheimer.

Francesca gli è vicina con tutte le sue forze: cerca di capirlo, di aiutarlo, di proteggerlo di non farlo allontanare da sé, di accompagnarlo, in un certo senso, in quei lunghi viaggi che il passato sempre più spesso gli fa compiere facendogli perdere ogni legame con il presente. Anche il loro amore è mutato: non è diminuito ma, se possibile, è più forte cambiando forma e modo d’espressione. Lino non è più il “marito” ma assume le sembianze di quel figlio che la coppia non ha mai avuto.

Francesca Neri e Fabrizio Bentivoglio - foto di Andrea Catoni

Francesca Neri e Fabrizio Bentivoglio - foto di Andrea Catoni

La malattia progredisce velocemente e Lino ne subisce tutti gli stadi accanendosi contro quel dolore: sa che sta per perdere tutto il bello che ha avuto dalla vita, prima fra tutto Francesca. Diviene insofferente, violento, si infuria con se stesso e con sua moglie, l’unica che sia in grado di tranquillizzarlo e di fargli sentire nei suoi abbracci il calore del suo affetto e la profondità della loro unione.

Francesca, come Virgilio con Dante, accompagna Lino nei suoi gironi sino alla bocca dell’inferno quando, ormai, ha completamente perso la percezione di sé come uomo trasformatosi, ormai, in un bambino spaurito tornato a rifugiarsi nelle terre vicino Bologna che lo hanno visto adolescente. Ed è in questo momento che Francesca diviene inerme, impotente: non può più far nulla per aiutarlo e per farlo tornare a sé.

L’opinione di Chiara

Pupi Avati, assieme a Francesca Neri e Fabrizio Bentivoglio, è stato maestro nel raccontare questa delicata e profonda storia d’amore – la prima della filmografia del regista – senza mai eccedere nelle emozioni o forzare i sentimenti, riconoscendogli anche il merito di aver avuto il coraggio di affrontare e di narrare impeccabilmente un tema così importante e attuale, eppure quasi sconosciuto alla cinematografia italiana.

Il film scorre su due linee narrative: l’una riguarda la vita di Francesca e di Lino nel presente e l’altra riguarda esclusivamente Lino raccontando, con flashback, la sua regressione all’infanzia. Avati si è rivelato ancora una volta un ottimo direttore d’orchestra riuscendo ad armonizzare le sonorità di ogni suo interprete: Isa Barzizza, (impeccabile matriarca), Serena Grandi, Lino Capolicchio , Gianni Cavina, Vincenzo Crocitti (qui nella sua ultima apparizione).

Fabrizio Bentivoglio, Pupi Avati e Francesca Neri - foto di Andrea Catoni

Fabrizio Bentivoglio, Pupi Avati e Francesca Neri - foto di Andrea Catoni

Il film è riuscito benissimo anche se ricorda Le pagine della nostra vita diretto da Nick Cassavetes interpretato da Gena Rowlands e James Garner. Qui, però, è la donna a soffrire di Alzheimer ed è suo marito che, attraverso la lettura del diario che lei ha scritto prima di perdere completamente la memoria, cerca di farla tornare a sé, e di farle ricordare chi sia e chi sia stata.

Ma il film di Avati è più realistico, più di cuore. Racconta con pudore la tragedia di questa malattia che, come tutte le malattie, non ha un perché. Ed è, forse, in virtù di questo, che il cane di Lino bambino si chiama proprio Perché: una domanda costante in tutte le pagine della Vita cui raramente si è in grado di dare esaurienti risposte, eppure si continua a sperare di poterne trovare almeno una.

Serena Grandi foto di Andrea Catoni

Serena Grandi foto di Andrea Catoni

Ringraziamo Chiara per la sua interessante recensione augurandoci di ritrovarla presto come nostra collaboratrice.

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