E’ nelle sale da un bel pezzo e, pur avendo fatto di tutto per evitarlo, all’ultimo momento mi sono decisa a vedere “Genitori e figli: agitare bene prima dell’uso“, pellicola del toscano Giovanni Veronesi che ha la pretesa di indagare il complesso rapporto genitori – figli in questo terzo millennio. Dopo aver letto la presentazione che ne ha fatto Paola qualche settimana fa, senza troppe aspettative mi sono diretta verso il botteghino.
Un film tra spot e grida
La prima cosa che ho notato è il volume delle voci: il film è “urlato”, tutti gridano, per un motivo o per l’altro; magari questa enfasi è stata voluta dal regista, allo scopo di rimarcare i toni “alti” che caratterizzano il momento sociale del nostro Paese, ma tutto quel gridare dopo un po’ stanca.
I volumi sono associati a un turpiloquio alquanto seccante: tutti i protagonisti pronunciano una serie di “parolacce” degne del peggior scaricatore di porto (ammesso che gli scaricatori di porto siano effettivamente così rozzi); i dialoghi sono eccessivamente appesantiti dalla volgarità e il film, secondo me, ne esce penalizzato.
Un’altra nota dolente è lo “spiattellare” (letteralmente) in faccia allo spettatore i loghi pubblicitari; i film si sa sono tutti sponsorizzati, ma i loghi possono essere utilizzati in ben altro modo. Scarpe, zaini, underwear: potrei elencare a memoria le marche che continuamente appaiono sullo schermo, anche qui in maniera eccessiva.
Il film secondo me non è riuscito nell’intento iniziale, rimane in superficie e risulta di bassa qualità, essendo inoltre intriso di stereotipi e di luoghi comuni. Nonostante il cast sia fatto di grandi nomi – compresa Piera degli Esposti nei panni dell’eccentrica nonna Lea, forse l’unica a riportare la pellicola su toni “umani” – la pellicola non mi ha affatto entusiasmato: la recitazione è di basso livello, non c’è ricerca nell’uso delle immagini e manca la profondità nei dialoghi.
La provocazione
Consiglio un confronto, che a molti potrà sembrare azzardato: dopo aver visto la pellicola di Veronesi, sedetevi di fronte a “Mine Vaganti” di Ozpetek (incentrato anch’esso sullo scontro generazionale) e poi fatemi sapere. Due modi diversi di fare cinema? Può darsi. Di sicuro, io preferisco il secondo.
concordo in pieno con te Flavia. Ricordo che di Mine Vaganti abbiamo parlato ampiamente sul nostro sito 😉
http://cinemio.it/2010/03/mine-vaganti-recensione/
http://cinemio.it/2010/03/mine-vaganti-intervista/
che dire, flavia me lo aspettavo che il film fosse così, cmq riguardo al fatto dell'”urlato”, credo sia una caratteristica propria dei registi toscani, a loro in un certo senso piace essere plateali (come lo sono poi nella vita di tuttii giorni) sicuramente in un modo diverso rispetto ai napoletani ma si compiacciono delle loro caratteristiche a me sembra.
Per quanto riguarda le varie pubblicità, oramai in Italia (ma non solo) si riesce a fare film solo in questa maniera, l’unica cosa che dico è di farlo in una maniera decente e apprezzabile perchè anche a me non piace vedere il logo piazzato lì quando non c’entra nulla con il film, ma a quanto pare oramai ci stiamo abituando anche a questi purtroppo (e parlo anche di film americani).
non ho avuto possibilità di visionare il film, ma del trailer, ho amato la scena in cui “una figlia”, per evitare di assistere alle litigate furibonde dei genitori, trasforma le loro parole in numeri. A quanto pare, sarebbe stata l’unica sezione “riflessiva” del film. Grazie per il consiglio Flavia.
anch’io concordo pienamente con Flavia, anzi, direi che ha scritto l’articolo esattamente come l’avrei scritto io, proprio con quelle critiche!
e non smetterò di imputare la mia amica x avermi trascinata a vedere una “roba” del genere, perchè “roba” penso sia un termine adatto x definirla.