Non mi ha proprio appassionato l’ultimo lavoro di Carlo Mazzacurati “La Passione“, uscito lo scorso venerdì nelle sale cinematografiche italiane. Il cast è promettente: Silvio Orlando, Corrado Guzzanti, Kasia Smutniak, Giuseppe Battiston, Stefania Sandrelli, Cristiana Capotondi; nonostante i nomi, però, il film non riesce a decollare rimanendo un po’ in superficie.
Ma vediamo da vicino la storia. Gianni Dubois è un regista in piena crisi creativa: non realizza un film da cinque anni e la sua ultima speranza per risollevare le sue sorti è scrivere la sceneggiatura per un’attricetta alla ribalta viziata e stregata dal successo. Proprio mentre tenta di ingraziarsi il suo agente (senza scrupoli, a cui importa solo dei guadagni) viene informato di un grave problema nella sua casa in Toscana: per evitare guai seri deve partire subito. Dubois si trova a dover fare i conti con i “potenti” del paesino che lo mettono alle strette; una perdita d’acqua proveniente dal suo appartamento sta danneggiando un affresco cinquecentesco: se non vuole essere denunciato ai Beni Culturali deve accettare di dirigere la Passione del venerdì santo.
Inizialmente il regista tenta di rifiutare ma si trova incastrato e decide così di mettere in scena ugualmente lo spettacolo. La sorte lo aiuta, facendogli conoscere persone “umane”, con storie vere, che lo aiuteranno senza chiedere nulla in cambio: Ramiro, un ex carcerato con la passione per la recitazione e Caterina, una simpatica barista polacca che vive lì per amore. Grazie a questi personaggi Gianni Dubois porterà in scena la Passione di Cristo, dando una svolta alla sua vita e sentendosi almeno per un momento vivo.
L’idea di Mazzacurati, che qualche critico ha addirittura definito “banale”, secondo me è originale, solo che riportata nel film non riesce a toccare le corde giuste. Dubois è un uomo solo, in crisi, che ha bisogno di trovare una svolta; svolta che arriva inaspettata, imprevista. Gianni ritroverà la vita grazie a persone di cui nemmeno immaginava l’esistenza; uscirà dalla crisi, si sentirà ispirato e il finale fa immaginare un riscatto personale, trovato grazie alle storie di vita vissuta degli abitanti di un piccolo paesino sperduto in Toscana, dov’era finito per pura casualità. Il grande mondo dello spettacolo non era stato capace di fornirgli i mezzi per ritrovare la sua strada; la sensibilità e l’autenticità di Ramiro, di Caterina e degli altri personaggi gli faranno invece aprire gli occhi e il cuore, per poi intraprendere un nuovo percorso.
Secondo me, però, Mazzacurati non voleva un film mieloso, sentimentale; l’impressione è che il regista voleva ironizzare su questi argomenti, senza riuscirci. Nonostante i guizzi comici di Guzzanti, o alcune battute spiazzanti di Orlando, come pure degli altri protagonisti, non ci troviamo di fronte a una commedia, seppur dai toni amari. Ci troviamo di fronte a un film che non è stato centrato, che non esce fuori dagli schemi, nonostante le buone intenzioni e la bravura tecnica di Mazzacurati. Peccato.
na’ palla