#Venezia74: Jusqu’a la garde – L’affido di Xavier Legrand

#Venezia74: Ultimo film in Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, è stato presentato ieri alla stampa l’opera prima Jusqu’a la garde (L’affido) del regista francese Xavier Legrand.

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Jusqu’a la garde – L’affido

Fa sempre ben sperare, all’interno di un festival, quando un regista decide di sporcarsi le mani toccando il genere e finendo per elevare un’opera che, altrimenti, sarebbe ricaduta nella sempre peggiore accezione di “tipico film da festival”.

Si perché, pur nelle migliori intenzioni, il prologo del film sembrava inquadrarlo già all’interno di quella categoria di progetti. E invece poi, soprattutto dal secondo atto, il film di Legrand prende il volo e, calibrato tra silenzi e dialoghi ridotti poco più che all’essenziale, inquadra (come già il titolo suggerisce) una difficile separazione di una famiglia come tante altre, di una madre che non vuole più avere alcuna comunicazione con il marito e di due figli, il piccolo di 11 anni e la grande di 18, che non vogliono anch’essi avere a che fare con lui. E nel prologo sono proprio gli avvocati delle due parti a parlare, chiara visione di come il regista voglia insinuare sin da subito l’ambiguità del credere a chi e a cosa. Da che parte stare? Allora il film si apre pian piano per mostrarsi e mostrare queste due personalità, quella di una madre spaventata, chiusa e protettiva e di un padre-orso introverso, forse scattoso nei modi ma di buon cuore.

Jusqu’a la garde

Jusqu’a la garde – L’affido

Il genere, appunto. Si perché nella seconda parte il film si colora e prende ritmo cadendo nel tranello del thriller ma senza tradirsi o dilungarsi né perdere d’identità rispetto alle intenzioni di partenza, se non nel fatto che la regia di Legrand prende le parti, perdendo il mordente dell’ambiguità iniziale a favore della trasmissione ad un pubblico più ampio di un messaggio forte e chiaro: tutti hanno colpe e ragioni e a pagarne le conseguenze più di tutti sono i figli.

In questo caso, se la figlia diciottenne apre ad un sub-plot di relativa forza, è al piccolo undicenne che va consegnato il premio alla bravura e alla sottile interpretazione che dà del suo Julian, bravura che va anche alla direzione di Legrand che si concentra molto sui volti e che molto spesso abbassa letteralmente la macchina da presa ad altezza di Julian, assicurandosi che il messaggio passi in maniera più mainstream del solito ‘film da festival’ minimale ed ermetico. E di certo, in questo caso, non è un demerito ma una scelta coraggiosa che ci conferma quanto questo regista sia da tenere d’occhio.

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